di Carlo Musilli

"L'Italia non viene in Europa a farsi dare i compiti a casa: sappiamo perfettamente cosa dobbiamo fare". Dobbiamo fare i compiti a casa. Per quanto autoritaria e indipendente possa suonare, la sparata di Matteo Renzi dopo il vertice a Bruxelles della settimana scorsa non presagisce alcun cambiamento di rotta nei rapporti internazionali del nostro Paese. Ha lo stesso peso specifico delle scenette da libro Cuore cui il Premier-sindaco dà vita ogni settimana nelle scuole. 

"Non abbiamo rassicurazioni da dare. Faremo quello che dobbiamo per il futuro dei nostri figli, consapevoli che oggi le priorità sono il lavoro e la crescita". Ottime parole per i titoli dei giornali, peccato che Renzi le dica solo ai giornalisti, non ai grandi burocrati europei. In realtà, a ben vedere, avrebbe sbagliato appuntamento: l'ultima riunione Ue era dedicata agli sviluppi della crisi ucraina, mentre i temi economici saranno affrontati al Consiglio europeo in programma per il 20 e 21 marzo.

Chiacchiere a parte, i fatti dicono che dalla settimana scorsa l'economia italiana è entrata formalmente sotto lo stretto monitoraggio dell'Unione. La Commissione europea ci ha declassati nel gruppo dei Paesi con "squilibri macroeconomici eccessivi", insieme a Slovenia e Croazia. Rischiamo perfino di essere sanzionati se non adottiamo delle soluzioni che piacciano a Bruxelles.

Di fronte a questa prospettiva, c'è da scommettere che di compiti a casa ne arriveranno ancora. Lo spettro che aleggia è quello di una nuova manovra correttiva, che mal si concilierebbe con gli interventi espansivi annunciati ogni giorno da Renzi. Per risolvere il rebus non c'è molto tempo: entro fine aprile l'Italia deve presentare a Bruxelles il Piano nazionale delle riforme e il Def (Documento di economia e finanza). Poco dopo, a giugno, arriverà il giudizio della Commissione sul nostro Paese.

Le richieste dell'Europa nei nostri confronti sono chiare da mesi: ulteriore rafforzamento della correzione del deficit strutturale, ampliamento dell'avanzo primario, incremento della produttività, sostegno alla crescita per ridurre il rapporto debito-Pil. Non è affatto chiaro, invece, come Renzi voglia affrontare la partita: l'unica certezza è che non ha alcuna intenzione di rimetterne in discussione le regole. Fa la voce grossa, ma sa di non spaventare nessuno.

Conviene non farsi incantare dal suo cipiglio propagandistico, perché fra Luglio e Settembre all'Italia toccherà la presidenza di turno dell'Unione Europea, ma con ogni probabilità non sfrutteremo l'occasione per discutere possibili modifiche al trattato di Maastricht, né cercheremo di allentare il cappio del Fiscal compact, che entrerà in vigore dal 2015. Avremmo il peso economico per farlo (sembrerà assurdo, ma continuiamo a essere la terza economia dell'Eurozona). Quello che ci manca è la capacità politica.   

Intanto, sul fronte interno, attendiamo con ansia i grandi provvedimenti annunciati dal nuovo governo. Oltre alle norme del Jobs act, che saranno illustrate mercoledì, l'attenzione si concentra su due misure assai problematiche: il pagamento "immediato e totale" dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese e il taglio da 10 miliardi del cuneo fiscale. In entrambi i casi non è chiaro come e con quali soldi l'Esecutivo intenda mantenere le promesse.

Per i debiti della pp.aa. manca perfino una cifra esatta cui fare riferimento. Renzi parla di "60 miliardi", ma la verità è che nemmeno il Tesoro sa a quanto ammontino i soldi dovuti, perché finora le Regioni non sono riuscite a calcolarli.

Quanto alle tasse sul lavoro, ammesso che da qualche scrigno magico spuntino le coperture, resta da risolvere il dubbio amletico tra Irpef e Irap, ovvero fra la riduzione degli oneri a carico dei lavoratori (per riattivare i consumi) o delle imprese (per favorire produzione e occupazione). Il governo è orientato verso la prima ipotesi, mentre i ministeri dell'Economia e delle Attività produttive fanno il tifo per la seconda. Al momento si può solo escludere il compromesso salomonico: tutte le risorse dovrebbero convergere su un solo tipo d'intervento.

Anche nella più rosea delle previsioni - ovvero ipotizzando che entrambi i provvedimenti abbiano successo - rimane da capire come il Premier intenda armonizzare tutto questo con il Fiscal compact, che dall'anno prossimo restringerà notevolmente il nostro margine di manovra. Le nuove regole sui bilanci europei prevedono che siano ridotte di un ventesimo l'anno le quote dei debiti pubblici eccedenti il 60% del Pil. All'Italia, che arriva quasi al 133%, si richiede perciò una correzione di 3,5 punti percentuali l'anno.

Privatizzazioni e spending review possono contribuire solo in minima parte, ed è quindi difficile ipotizzare di raggiungere l'obiettivo senza una qualche forma di patrimoniale. Speriamo che Renzi abbia le idee più chiare di quanto sembri. Non per noi, né per Bruxelles, sia chiaro. "Per il futuro dei nostri figli".

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