Mascherato da riflessione sugli equilibri demografici, da ragionamento politico sulle politiche migratorie, il razzismo puro ha fatto capolino nella bocca di Attilio Fontana, ex Sindaco di Varese  e ora candidato della destra alla guida della Regione Lombardia. Fontana è, come direbbe De Luca, un “personaggetto”. Privo di carisma e di acume politico, faccia da disturbo incipiente, ha avuto nel regno degli aspiranti secessionisti un qualche ruolo, ma più per mancanza di alternative che di valore suo.

 

 

Quello di Fontana è un argomentare da Ku Klux Klan che vede la razza bianca a rischio. Un delirio razzista che getta un’ombra maleodorante su tutta la campagna elettorale. Non solo quella riferita alla Regione Lombardia ma a quella nazionale, dove il nuovo fascismo e il nuovo razzismo si saldano senza imbarazzi in quello che la pubblicistica berlusconiana dipinge come il “fronte dei moderati”.

 

Senza Berlusconi, i suoi soldi e le sue televisioni e, soprattutto, la sua capacità politica e propagandistica, a livello nazionale il nuovo impasto fascio razzista non avrebbe possibilità di vittoria, al massimo di una significativa affermazione elettorale. Resterebbe, cioè, in linea con quanto nel resto dell’Europa occidentale si va delineando a seguito della crisi economica e sociale che ha rotto ogni argine con la rappresentanza politica e con l'illuminismo. Senza Berlusconi sarebbero precluse le vie ungheresi, polacche, austriache. La destra sarebbe comunque un pericolo per la convivenza civile ma, come in Spagna, Germania, Francia e Grecia, verrebbe fermata dallo spirito antifascista che, malconcio quanto si vuole, aleggia però ancora nell’Europa che conta.

 

In Italia, invece, la saldatura di questa pulsione nostalgica intestinale con la destra reazionaria in giacca e cravatta del berlusconismo, produce una prospettiva di governo pericolosa. Un intreccio di mentalità padronale e sottocultura che genera un incontro in qualche modo inevitabile tra gli istinti bassi del populismo infame e il cinismo padronale. I linguaggi si incontrano, il senso comune si forma; il cialtronismo padronale si pone al riparo del populismo più becero, imbevuto di odio verso chi è più debole e più sfruttato.

 

Berlusconi, sin dal 1994, ha rappresentato questo: la miscela tra destra e ultradestra, tra cultura padronale e populismo intriso di fascismo scimmiottato. L’anticomunismo è stata la bandiera della propaganda di un modello di governo teso alla distruzione progressiva delle conquiste sociali e civili frutto delle lotte democratiche e di classe dal dopoguerra fino agli anni ’80. Si è consumata una vendetta culturale e politica contro una società che vedevano come ostile e contro i corpi intermedi che ne organizzavano le istanze di crescita sociale e culturale e l'avvento del renzismo, lungi dall'emarginare un simile disegno dalla proposta politica di governo, ne ha rafforzato la direzione di marcia.

 

Perchè seppure il berlusconismo ha resistito nel suo impianto sottoculturale, orfano di Berlusconi sarebbe rimasto un fenomeno ad assorbimento lento, che sarebbe rimasto sotto  le macerie della fallimentare esperienza di governo del cavaliere. Ma grazie al patto del Nazareno, Berlusconi è rientrato in gioco. Con il noleggio dei suoi parlamentari, fintamente scissi con Verdini, a sostegno del governo del "giglio magico", Berlusconi poté rientrare nel grande gioco dal quale le sentenze dei tribunali e il declino della sua credibilità personale lo avevano messo ai margini.

 

A causa di quella ciambella di salvataggio offerta a Renzi in cambio della sua incolumità politica e affaristica, il cavaliere di Arcore riuscì a restare in sella e oggi, come alle origini della sua “discesa in campo” si ripresenta all’Italia con l’immagine a lui più consona. Quella del cavaliere nero.

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