Matteo Renzi lo dava per cosa fatta già ad aprile dell’anno scorso, ma l’Ape volontario è diventato operativo solo pochi giorni fa. I nove mesi di ritardo, però, sono il problema meno grave dell’anticipo pensionistico. È la sua stessa natura che dovrebbe preoccupare.

 

Il nome lascia intendere che si tratti di un nuovo modo per andare in pensione anticipata, uno di quelli promessi da anni per ammorbidire le regole della legge Fornero, aumentando la flessibilità in uscita. Non è così. Si parla di “pensione anticipata” quando il legislatore alleggerisce i requisiti per alcune categorie di lavoratori, abbassando l’età pensionabile o riducendo gli anni di contributi da versare.

 

Nulla di tutto questo accade con l’Ape, che è un prestito bancario assicurato. A differenza della versione “social” (interamente a carico dello Stato, ma riservata a pochissimi contribuenti), l’anticipo volontario viene ripagato dalle stesse persone che lo hanno chiesto. La restituzione inizia alla fine dell’Ape e consiste in una trattenuta su tutti gli assegni della pensione (tredicesima esclusa) per 20 anni. Oltre al capitale, la rata comprende gli interessi alla banca che ha fornito il prestito e il premio alla compagnia che ha assicurato il rischio di premorienza. In sostanza, se il pensionato muore prima di aver saldato il debito, l’istituto di credito si rivolge all’assicurazione, senza coinvolgere gli eredi.

 

Il governo di solito presenta l’Ape come una misura vantaggiosa perché - considerato un credito di imposta annuo pari al 50% degli interessi e del premio - permette di ottenere un prestito a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle di mercato. Curiosa argomentazione. Ci mancherebbe che lo Stato si prodigasse per offrirci un credito bancario particolarmente svantaggioso. Il punto è che si tratta pur sempre di un prestito e peserà sulle nostre spalle fino all’età più avanzata, perciò dobbiamo chiederci: al netto di tutta la propaganda, conviene?

 

Un buon modo per rispondere è utilizzare il simulatore reso disponibile dall’Inps sul proprio sito. Bisogna inserire alcuni dati personali, la durata del prestito che si vuole chiedere (il minimo è sei mesi, il massimo tre anni e sette mesi) e la somma che si intende ricevere (l’importo massimo richiedibile è parametrato sulla futura pensione e varia a seconda della durata dell’Ape). Dopo una serie di calcoli piuttosto complessi, il sistema ci rivela a quanto ammonterà la rata di restituzione che, una volta pensionati, ci dovremo sobbarcare per due decenni.

 

Facendo un po’ di prove si scoprono dei numeri interessanti. Poniamo il caso di una futura pensione da 1.200 euro netti al mese (1.650 lordi). Per un Ape triennale da 980 euro al mese (il massimo che si può chiedere) la rata di rimborso ammonterà a 210 euro. Significa che, per 20 anni, la pensione scenderà a 990 euro. Con un anticipo di due anni, l’assegno massimo richiedibile sale a 1.045 euro e la rata di restituzione è pari a 150 euro. I numeri scendono rispettivamente a 1.110 e a 80 euro per un anticipo di un solo anno.

 

In generale, l’Ape volontario è più appetibile quanto più è alta la pensione che ci si appresta a incassare e quanto più breve è la durata del prestito. Non può chiedere l’Ape chi avrà un trattamento previdenziale inferiore a 702,65 euro (pari a 1,4 volte il minimo Inps). Lo scopo di questa soglia è tutelare i meno abbienti, che, vedendosi decurtare un assegno già basso, potrebbero ritrovarsi in difficoltà a causa dell’Ape. Il problema è che un guaio del genere rischia di capitare anche a chi avrà una pensione media.

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