“Le famiglie gay non esistono”. È con questa frase ignobile che inizia il Governo del Cambiamento. A dirla è stato il neoministro della Famiglia e della Disabilità, il leghista Lorenzo Fontana, in un’intervista al Corriere della Sera. Una frase pericolosa, che non merita alcun rispetto e anzi dovrebbe far avvampare di vergogna chiunque abbia pensato anche solo per un istante che questo governo potesse rappresentare una buona notizia per il nostro Paese.

 

Matteo Salvini ha provato a metterci una pezza facendo notare che le idee di Fontana “non sono nel contratto”. Come se questa fosse una giustificazione o un’attenuante. Peraltro, viene da chiedersi in che modo il negazionismo su una realtà sociale così diffusa come le famiglie omosessuali potrebbe mai entrare in un programma politico: pianificando deportazioni? O magari finanziando studi per la riconversione sessuale degli “invertiti”?

 

 

L’intervista di Fontana al Corriere è inqualificabile e getta un’ombra sinistra sul livello di civiltà degli italiani, visto che, stando ai sondaggi, la grande maggioranza del Paese si dice soddisfatta dalla formazione di questo Governo. Ma c’è di più. Gli sproloqui di questo ministro ci fanno sbattere la faccia su un gigantesco e terrificante equivoco: l’idea che cambiare significhi necessariamente migliorare. Come se, partendo da uno status quo insoddisfacente, qualsiasi modifica dello scenario non possa che rivelarsi positiva. 

 

Questo modo di ragionare è chiaramente figlio dell’ignoranza, perché parte dal presupposto che la situazione presente sia la peggiore possibile e non esista margine per ulteriori peggioramenti. È l’ingenuità assoluta di pensare che, una volta toccato il fondo, non si possa continuare a scavare.

 

A sdoganare questa mentalità a dir poco facilona, va detto, è stato Matteo Renzi. Con il suo “nuovo che avanza”, con il suo “basta stare fermi”, con i suoi propositi di rottamazione a colpi d’accetta, il Bullo di Rignano ci ha ripetuto fino alla noia che per risolvere i nostri problemi avremmo dovuto “cambiare verso”. Peccato che all’epoca non ci abbia spiegato dove aveva intenzione di portarci.

 

I disastri del governo renziano hanno distrutto il Pd e messo le ali a Lega e Movimento 5 Stelle, che a loro volta hanno avuto buon gioco a rovesciare contro il Pd la sua stessa propaganda senza contenuti. Il tutto veicolato tramite la retorica da social media, che è fatta principalmente di meme, non richiede alcuna preparazione su materie specifiche e non impone alcun ragionamento.

 

Ogni dibattito viene incanalato e ucciso facendo ricorso sempre allo stesso concetto: “Gli altri sono peggio di noi”. È questo il passepartout buono per ogni occasione, l’argomento che permette di uscire da qualsiasi discussione senza fare i conti con la propria incoerenza o incompetenza.

 

Così molte persone che un tempo si dicevano di sinistra ora affermano di essere soddisfatte dal Governo del Cambiamento. E messe di fronte a contraddizioni che farebbero arrossire qualsiasi essere pensante (la flat tax, il condono, la legittima difesa da far west, le politiche fascistoidi sui migranti), nove volte su dieci rispondono: “E allora il Pd?”.

 

Con il corollario demenziale secondo cui chiunque osi criticare i legastellati deve essere automaticamente bollato quale sostenitore di Berlusconi o di Renzi. Come se fosse imprescindibile un’adesione (che è cosa diversa da un mero voto su una scheda). Come se fosse impossibile sentirsi lontani da ciascuno dei tre schieramenti.

Intendiamoci, nessuno può dubitare della necessità di un cambiamento. Il punto è che bisognerebbe interrogarsi sulla vera natura delle persone che promettono di cambiare le cose e non acclamarle alla cieca, con atteggiamento fideistico. Altrimenti poi ti ritrovi con un ebete che misconosce le famiglie gay.

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