«Chi dice “io non sono razzista, ma…” è un razzista ma non lo sa», cantava il rapper torinese Willie Peyote. Le sue parole tornano alla mente leggendo l’intervista a Matteo Salvini pubblicata domenica dal Sunday Times. Secondo il vicepremier, infatti, in Italia non abbiamo alcun problema di razzismo.

 

È vero, la settimana scorsa a Partinico un giovane senegalese è stato picchiato e insultato da tre italiani al grido di "tornatene al tuo paese, sporco negro". Poi c’è chi si diverte a giocare al tiro a segno con le bambine rom e a ben vedere solo negli ultimi due mesi i casi di violenza razziale nel nostro Paese sono stati almeno nove.

 

Ma tutto questo agli occhi di Salvini è fisiologico, nient’affatto allarmante: “Aggredire e picchiare è un reato, a prescindere dal colore della pelle di chi lo compie, e come tale va punito”, concede il ministro dell’Interno, salvo poi precisare che “accusare di razzismo tutti gli italiani ed il governo in seguito ad alcuni limitati episodi è una follia”.

 

 

Salvini non capisce - o più probabilmente finge di non capire - che il problema non è mai stato il razzismo di tutti gli italiani, giacché nemmeno negli anni Trenta questo male oscurava l’intelletto di ogni nostro connazionale. Il problema, come sempre, è il razzismo di alcuni italiani, che oggi più spesso di ieri si producono in gesti di violenza razziale.

 

Anche senza volersi lanciare in una stima percentuale dei razzisti italiani, il moltiplicarsi dei casi di cronaca suggerisce che il loro numero stia aumentando. E questo dovrebbe preoccupare il governo, non lasciarlo indifferente. Chi ha responsabilità di carattere generale dovrebbe essere il primo a schierarsi dalla parte degli offesi, “a prescindere dal colore della pelle”. Ma Salvini questo non lo ha mai fatto e non lo farà mai.

 

Condanna la violenza - e ci mancherebbe: al contrario sarebbe passibile di denuncia per istigazione a delinquere - ma subito dopo piazza là una delle sue fake news buone per ogni occasione: “Ricordo che i reati commessi ogni giorno in Italia da immigrati sono circa 700, quasi un terzo del totale, e questo è l'unico vero allarme reale contro cui da ministro sto combattendo”. Parole che sminuiscono le preoccupazioni degli antirazzisti e al tempo stesso forniscono ai razzisti un ottimo motivo per autoassolversi.

 

Tutto questo ha un solo scopo. La paura. Salvini ha bisogno che gli italiani siano spaventati: non dalla violenza razziale di alcuni loro connazionali, ma dalla mera presenza degli stranieri. I numeri che il capo del Viminale cita a casaccio lasciano intendere che esista una stretta correlazione fra aumento dell’immigrazione (che comunque ora si è interrotto) e aumento della criminalità, ma i dati reali dicono il contrario.

 

Stando l’Istat, fra il 2007 e il 2015, il numero di stranieri in Italia è aumentato da 3 a 5 milioni, mentre le denunce di delitti – cioè dei reati più gravi – è sceso da 2,9 a 2,6 milioni. Sono diminuiti gli omicidi (mai così pochi dall’unità d’Italia), le rapine e le violenze sessuali, mentre il numero dei furti è rimasto sostanzialmente invariato.

 

Questi numeri stridono con la realtà che ogni giorno Salvini costruisce sui social. Al vicepremier leghista i veri numeri non interessano e nemmeno la coesione sociale del Paese. Il suo teatro ha come unico obiettivo la propaganda. E se poi il sonno della ragione genera mostri, pazienza: “L'emergenza razzista non esiste - chiosa il ministro - è un'invenzione della sinistra”.

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