Siamo ancora in agosto ma è già cominciata la battaglia d’autunno, quella sulla prossima legge di Bilancio. Da una parte il ministro del Tesoro, Giovanni Tria, cerca di rassicurare i mercati promettendo che il Governo non metterà a rischio i conti pubblici. Dall’altra i due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, premono per inserire in manovra almeno un prologo delle rispettive (e costose) misure-bandiera, la flat tax e il reddito di cittadinanza. Per non parlare della riforma previdenziale anti-Fornero, cara a entrambe le forze politiche. 

 

La mediazione fra le due parti sarà complessa, anche perché la finanziaria 2019 è salata già in partenza: si parla di oltre 22 miliardi di euro senza varare nessuna delle misure chieste dai partiti.

 

Innanzitutto, bisogna disinnescare le clausole di salvaguardia. Solo per evitare che dal primo gennaio 2019 aumenti l’Iva (l’aliquota ridotta salirebbe dal 10 all’11,5% e quella ordinaria dal 22 al 24,2%), l’Italia dovrà stanziare nella prossima manovra 12,4 miliardi.

 

 

Poi vanno finanziate le cosiddette “spese indifferibili” - tra cui le missioni all’estero - che l’anno prossimo peseranno sul bilancio per circa tre miliardi e mezzo.

Infine, ci sono gli aggravi di spesa pubblica collegati al peggioramento della congiuntura economica. Nel Def di marzo (varato dal governo uscente, quello di Paolo Gentiloni , e perciò privo d’impegni politici) c’era scritto che nel 2019 il Pil italiano sarebbe cresciuto dell’1,4%. Ora invece le previsioni oscillano fra il +1% calcolato dal Fmi e il +1,1% su cui concordano Ocse, Commissione europea e Ufficio parlamentare di Bilancio.

 

Il rallentamento determina un calo delle entrate fiscali e quindi, a meno di correttivi, un aumento del deficit. Secondo il Tesoro, tre decimi di crescita in meno rispetto alle previsioni peserebbero sulle casse dello Stato per circa due miliardi e mezzo.

 

Ma non è finita: in primavera lo spread viaggiava intorno ai 120 punti base, mentre oggi supera quota 250 e nei giorni scorsi è arrivato al picco di 270. Un’impennata che costerà cara, visto che, stando all’Ufficio parlamentare di bilancio, 100 punti in più possono valere fra i 3,6 e i 4,5 miliardi di spesa aggiuntiva per gli interessi sul debito pubblico. Senza contare che, dall’anno prossimo, non ci sarà più il Quantitative easing della Bce a proteggere il nostro differenziale.

 

Tirate le somme, la prossima manovra costerà di base quasi 22 miliardi e mezzo, pari a 1,2 punti di Pil. Se questa somma fosse finanziata interamente a debito, il rapporto deficit/Pil salirebbe al 2%, mentre il nostro Paese si è impegnato con l’Europa a non sforare lo 0,8%. Tria ha già spiegato che sono in corso trattative con Bruxelles per rivedere l’obiettivo del deficit 2019, ma un surplus di flessibilità pari all’1,2% non è verosimile.

 

Certo, per ridurre l’impatto sui conti la legge di Bilancio conterrà verosimilmente tagli di spesa e misure anti-evasione, ma è il caso di ribadire che quella somma di oltre 22 miliardi - già il valore di un’intera finanziaria - non comprende nessuna delle misure previste nel contratto gialloverde.

 

Non a caso, il vertice di governo sulla manovra andato in scena la settimana scorsa a Palazzo Chigi è stato ad alta tensione. Il ministro del Tesoro, in una nota ufficiale, ha parlato di compatibilità fra “gli obiettivi di bilancio già illustrati in Parlamento” e l’avvio delle riforme in programma. Non ha però spiegato quale compromesso permetterà di raggiungere questo miracoloso equilibrio.

 

In realtà, la situazione nelle fila del governo sembra tutt’altro che pacifica. Al punto che, durante la riunione a Palazzo Chigi, il leghista Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, avrebbe evocato il fantasma della crisi di governo: “O si fanno flat tax e Fornero, o si va a casa”. Di fronte a questa minaccia, Tria avrebbe ipotizzato di far scattare l’aumento dell’Iva per finanziare la tassa piatta. Una proposta lucida sul piano tecnico, ma quasi certamente impossibile da ricevere su quello politico: il rincaro dell’imposta sui consumi sarebbe un suicidio elettorale per Salvini come per Di Maio.

 

La riunione si è conclusa con la decisione di affidare ai tecnici della Ragioneria il compito di scrivere un “documento preparatorio”, una sorta di bozza della nota di aggiornamento al Def da presentare entro settembre, che conterrà le linee generali della prossima manovra. Intanto, aspettando l’autunno, le trattative e gli scontri proseguono sottotraccia.

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