Come in un pendolo fra Bud Spencer e Don Matteo, gli esponenti del Governo legastellato continuano a prodursi in risse da saloon seguite prediche francescane. E ad andarci di mezzo è il povero Giuseppe Conte, che s’era presentato come l’avvocato degli italiani e si ritrova a tapparsi le orecchie sotto le coperte mentre mamma e papà litigano nell’altra stanza.

 

L’ultimo episodio della lista è il più clamoroso. Con il Casalino-gate, l’armata gialloverde mette in luce in un colpo solo buona parte delle contraddizioni su cui è nata. Tutto parte dalle frasi para-squadriste pronunciate al telefono dal portavoce del Presidente del Consiglio e finite poi sul web: “O ci trovano i 10 miliardi del cazzo per fare il reddito di cittadinanza, oppure dedicheremo tutto il 2019 a fare fuori quei pezzi di merda dal ministero dell’Economia”.

 

 

Di fronte a queste amenità, le alternative sono due. O il Movimento 5 Stelle è d’accordo con Casalino e s’impunta per sostituire la squadra del Tesoro (in realtà non ha il potere di farlo, ma Tria ha già detto a Conte che, su richiesta, è disposto a dimettersi); oppure sconfessa l’ex concorrente del Grande Fratello e, necessariamente, lo licenzia.

 

I grillini però - a cominciare da Luigi Di Maio - non hanno il coraggio d’imboccare nessuna di queste due strade. Sanno che ormai non possono fare a meno di Tria, perché il suo addio scatenerebbe una reazione di Bruxelles e dei mercati che il governo non sarebbe in grado di gestire. L’errore, semmai, è stato a monte: M5S non avrebbe mai dovuto accettare di farsi imporre il ministro dell’Economia dal Quirinale, perché era ovvio che sarebbe finita così. Hanno sommato il problema dell’alleanza innaturale con la Lega a quello di un Padoan Mascherato messo lì per depotenziare le follie contabili scritte nel contratto di governo.

 

Follie molto più importanti per i grillini che per i leghisti, capaci di cavalcare (alla grande) temi a costo zero come sicurezza e immigrazione. Purtroppo per i pentastellati, quando era il momento di fare queste considerazioni Di Maio si è lasciato accecare dalla smania di andare al governo a ogni costo. Risultato: in pochi mesi la Lega, partendo dalla metà dei voti, ha superato nei sondaggi M5S, che nel frattempo non riesce a trovare i soldi nemmeno per la metà del reddito di cittadinanza che aveva promesso. In origine, infatti, il provvedimento doveva costare 17 miliardi: ora siamo alle minacce di purghe per trovarne 10.

 

D’altra parte, i grillini non possono nemmeno buttare fuori Casalino, questo strano portavoce che non dice mai nulla e nella penombra - verosimilmente in stretto contatto con la Casaleggio Associati - muove i fili della marionetta paracadutata a Palazzo Chigi.

 

Così, alla fine, per uscire dal Casalino-gate il Governo ha scelto la strategia più assurda. Quella del non è successo niente. Su Tria, Conte ha dichiarato: “Ho fiducia in tutti i ministri. Ho letto di qualche polemica, ma lasciano il tempo che trovano”. Sulla telefonata del suo portavoce, invece, si è lanciato in un tuffo carpiato: “Chiarito che si tratta di un messaggio privato, mi rifiuto di entrare nel merito dei suoi contenuti”.

 

Capito? Questa è la posizione degli stessi 5 Stelle che per anni hanno strillato “intercettateci tutti”, scagliandosi con la bava alla bocca contro le telefonate registrate di Berlusconi o della Boschi Family. Sono gli stessi 5 Stelle che hanno eletto a proprio vessillo la trasparenza e lo svelamento dei segreti del potere, fino a santificare la figura di Julian Assange. Tutto questo finché erano all’opposizione. Ora che sono al potere, queste stesse persone si appellano alla segretezza dei messaggi privati.

 

Ancora una volta torna alla mente la tripartizione che Alberto Arbasino inventò per descrivere la carriera degli scrittori italiani: “Brillante promessa, il solito stronzo, venerato maestro”.

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