Se Matteo Salvini avesse potuto scrivere i risultati di suo pugno, probabilmente non avrebbe osato tanto. Alla fine, le elezioni europee sono andate come meglio non avrebbero potuto per la Lega, che raddoppia il risultato di un anno fa, passando dal 17 al 34%.

 

In modo speculare, il Movimento 5 Stelle dimezza la sua quota di consensi, scesi al 17% dal 33% delle politiche 2018. I grillini vengono così superati dal Pd, che recupera parte del terreno perduto arrivando a sfiorare il 23% (dal 18%).

 

Chiudono il quadro Fratelli d’Italia, sostanzialmente stabile al 6,5%, e Forza Italia, che si ferma all’8,8% (alle politiche era al 14), nettamente sotto quel 10% che veniva considerato il minimo vitale per non temere la dispersione del partito.

 

A questo punto, per il governo inizia una fase nuova, probabilmente terminale. I rapporti di forza fra Lega e M5S si sono letteralmente invertiti, consegnando lo scettro del potere nelle mani di Salvini. La maggioranza, già traballante, ne esce ancora più destabilizzata.

 

Ma, per il momento, il numero uno del Carroccio sceglie la strada della prudenza. “La lealtà della Lega al contratto e al governo non si discute”, dice lunedì nella conferenza stampa post-voto. Non è una questione di poltrone, ma di programmi. Vista la nuova geografia elettorale, Salvini pretende che i grillini si pieghino al suo volere su tre punti fondamentali: Tav, autonomie regionali e flat tax. Se il Movimento continuerà a ostacolare uno solo di questi provvedimenti, dovrà assumersi anche la responsabilità della crisi di governo.

 

Tutto questo Di Maio lo sa benissimo. Nel suo incontro con la stampa di lunedì il capo politico grillino dribbla la domanda sulla Torino-Lione (“se ne occupa il Presidente del Consiglio da più di un mese”), apre con cautela sulle autonomie (“si faranno, ma rispettando la coesione nazionale”) e abbraccia il progetto generico di “tagliare le tasse”, ben sapendo che la Flat tax non tornerà sul tavolo prima dell’autunno, quando ci sarà da scrivere la manovra 2020. Il ragionamento è semplice: superata l’estate il pericolo di elezioni anticipate calerebbe, perché la nuova legge di Bilancio decreterà quasi certamente un aumento dell’Iva (servirebbero 23 miliardi per scongiurarlo) e nessuno vuole presentarsi davanti agli elettori subito dopo aver causato una sciagura del genere.

 

C’è poi un altro dato che preoccupa Di Maio. Ai suoi, il leader grillino dice di fare attenzione alla somma dei voti di Lega e Fratelli d’Italia, perché se Salvini deciderà di rompere non sarà per tornare con Berlusconi. Su questo ha probabilmente ragione: da mesi il capo del Viminale dice di non voler tornare al vecchio centrodestra, convinto che riabbracciare l’ex Cavaliere significherebbe perdere almeno il 10% dei consensi di oggi.

 

Ecco perché, in fondo, anche per Salvini le elezioni politiche non sarebbero prive di rischi. I dati delle europee dimostrano che, insieme, Lega e FdI riuscirebbero a superare di un pelo il 40%, quota che garantisce la maggioranza assoluta in Parlamento. Se rimanessero sotto questa soglia, sarebbero costretti a tirare dentro anche Fratelli d’Italia, riattaccando la spina a un alleato scomodo e ormai scarico.    

 

D’altra parte, Salvini deve fare i conti anche con l’insofferenza dei suoi ministri e di una larga fetta di elettorato, che vorrebbe tornare alle urne il prima possibile per colonizzare le Camere. E come insegna la parabola del Pd, passato dal 40% delle europee 2014 al 18% delle politiche 2018, aspettare troppo rischia di essere un errore. Fra un anno gli equilibri potrebbero essere diversi da quelli di oggi (riuscirà la Flat tax a compensare l’effetto Iva?) e non è detto che in futuro M5S e Pd non trovino il modo di collaborare per sopravvivere.

 

Insomma, malgrado il trionfo elettorale Salvini deve fare bene i suoi conti. E forse, in cuor suo, spera che i grillini si sbrighino a dargli un pretesto per far saltare il banco.

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