Ci sono voluti 50 anni per stabilire con chiarezza che la bomba fatta esplodere nella Banca dell’Agricoltura a Milano fu posta dalla cellula veneta fascista di Ordine Nuovo e che i mandanti della strage furono settori deviati dei servizi segreti italiani. A rafforzare ulteriormente la verità sul quadro complessivo di responsabilità, dopo mezzo secolo di furbate, ci ha pensato il Presidente della Repubblica Mattarella, che in una seduta straordinaria del Consiglio Comunale di Milano, ha puntato l’indice contro “l’attività depistatoria di alcuni apparati della nostra sicurezza doppiamente colpevoli”. Più precisamente, Presidente, ci permettiamo di far notare come siano stati settori legati mani e piedi all’atlantismo duro, quello che organizzò Gladio, la più grande organizzazione militare clandestina operante in Italia dal dopoguerra ad oggi e il cui obiettivo era l’organizzazione di un colpo di Stato nel caso in cui il Partito Comunista avesse vinto le elezioni.

 

Che la strage fosse di Stato e che la manovalanza era fascista venne scritto e detto da pochi giornalisti coraggiosi, gli stessi che non cedettero al suicidio di Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico e persona per bene, completamente innocente e del tutto estraneo ai fatti, entrato vivo ed uscito morto dalla questura di Milano. Una questura che svolse un ruolo di prima fila nella costruzione della falsa pista anarchica, tesa a sviare l’opinione pubblica e a costruire “il mostro” Pietro Valpreda, anarchico anch’egli ed anch’egli completamente innocente.

I grandi media dell’epoca, carta stampata, radio e tv, furono il complemento ideologico dell’operazione di depistaggio, dove spiccò per entusiasmo l’adesione pancia a terra di alcuni tra i peggiori carrieristi, quelli che aevano la DC come “editore di riferimento”, come amavano ripetere.

La bomba alla filiale di Piazza Fontana della Banca dell’Agricoltura segnò uno spartiacque nello scontro politico: diciassette morti, decine di feriti e la perdita di ogni lealtà, sono stati il bilancio di quel che è stato giustamente considerato il battesimo della "strategia della tensione". Che è stata decisa ed attuata con ferocia e determinazione per impedire che in Italia si unissero in un unico sbocco politico il movimento sindacale e studentesco; che l’insorgere delle lotte sociali dal Nord al Sud del Paese ponesse le basi per la crescita elettorale delle sinistre che, unite, avrebbero posto all’ordine del giorno il superamento del regime democristiano.
Da Piazza Fontana alle bombe di Trento, dalla Banca dell'Agricoltura di Milano all'Italicus; da Via Fatebenefratelli a Milano fino a Bologna e a Ustica, le stragi che hanno insanguinato il nostro paese, con l'obiettivo di impedire la sua evoluzione democratica piena, erano infatti figlie e conseguenze dello schieramento politico dominante in Italia. Quelle stragi erano una modalità, la più drammatica, per ribadire la vigenza del "fattore K". Che era, ne più né meno, il cuore strategico dell'iniziativa statunitense in Italia, che ad impedire l'avvento al potere delle sinistre ha dedicato miliardi di dollari, pressioni, minacce, stragi, formazioni di eserciti paralleli ed utilizzo della manovalanza fascista in comodato d'uso. Che ha fondato partiti e giornali e, tramite la Cia ed altre istituzioni statunitensi, ha dirottato risorse superiori a quelle già notevolissime stanziate per altri paesi europei.
L'Italia della fine anni ’60 non era la Grecia, il Portogallo o la Spagna; nessun colonnello greco, salazarista o franchista, sarebbe durato a lungo. Il più grande partito comunista d'Occidente e la più grande sinistra rivoluzionaria d'Europa, ex-partigiani ancora in grado di mobilitarsi ed ad un sindacato capace di presidiare il territorio in tutto il paese, non lo avrebbero permesso. Persino la sua delicatissima, nevralgica posizione geopolitica, avrebbe complicato - e non semplificato - i piani golpisti. E comunque il lavoro di penetrazione delle forze democratiche nelle strutture militari non rendeva possibile scenari putchisti, salvo quelli da operetta intentati da Valerio Borghese e i quattro scemi che lo seguivano.

Le deviazioni, dal Sifar di De Lorenzo all'Ufficio Affari Riservati, con le cover action agli ordini della Cia, rispondevano (e tutt'ora rispondono) alla patologia della nostra sovranità limitata, che si traduce, sul campo, alla riduzione dei nostri apparati a funzionari agli ordini di Washington e del suo arsenale di propaganda. Le operazioni che la Cia ha messo in piedi nel nostro paese erano (e sono) destinate a ribadire sì la liceità del gioco politico e parlamentare, ma solo finchè non venga messa in discussione l'alleanza atlantica e l'obbedienza dovuta a Washington. Una sorta di libertà obbligatoria che suona come una campana a morto per la nostra democrazia.

Di questo si trattava e, in buona misura, ancora si tratta. La patologia della dipendenza si deve, in ultima analisi, non solo al disarmo ideologico e culturale dei ceti intellettuali e dei partiti che hanno ormai abiurato ad ogni progetto di trasformazione, ma anche all'incapacità della nostra classe politica di dare un sussulto d'identità e sovranità nazionale al nostro paese. Di liberare tutti noi dall'incastro di chi ci vuole, da sempre e per sempre, vassalli di un feudatario che, peraltro, vede il suo castello, per quanto ben difeso, sgretolarsi sotto i colpi dei suoi crimini determinati dalla sua ansia di dominio.

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