Quando si tratta di chiudere i social e iniziare a governare, la Lega di Matteo Salvini è incapace di fare qualsiasi cosa: perfino i condoni fiscali. Ricordate il “saldo e stralcio” varato dal governo gialloverde a fine 2018? È stato un fallimento. Il ministero dell’Economia ha confermato le valutazioni arrivate nei mesi scorsi prima dalla Corte dei Conti e poi dall’Agenzia delle Entrate: nel triennio 2019-2021 lo Stato incasserà dal condono leghista al massimo 785 milioni di euro, ossia il 12% in meno rispetto agli 890 indicati nella relazione tecnica della legge di bilancio 2019. E questo nella migliore delle ipotesi, perché finora gli unici soldi certi sono quelli arrivati all’Erario l’anno scorso: appena 300 milioni di euro.

Per quanto riguarda il numero di domande, la distanza fra le previsioni e il risultato raggiunto è a dir poco ridicola: all’inizio si stimava una platea di quattro milioni di contribuenti, ma finora le adesioni non vanno oltre quota 385mila. Meno di un decimo. 

Tuttavia, non sono nemmeno questi i numeri più clamorosi. Se andiamo a rispolverare le vecchie panzane del Capitano, scopriamo che per l’intera “Pace fiscale” – il calderone di sanatorie di cui il “saldo e stralcio” rappresentava il provvedimento di punta – Salvini aveva previsto un gettito ricchissimo: addirittura 30 miliardi di euro, il valore di una finanziaria corposa. Ebbene, a giugno l’Agenzia delle Entrate ha certificato che fino a oggi l’operazione ha prodotto risultati miserrimi: solo 900 milioni di euro. È vero, in teoria c’è ancora tempo, ma la distanza rispetto alle stime dimostra già tutta la cialtroneria di cui Salvini è capace. Fa parte del personaggio: quando il Capitano cita un numero, non è mai frutto di studi o di calcoli seri. Al contrario, si tratta sempre di una balla inventata per illudere gli elettori, soprattutto quelli nelle condizioni socioeconomiche più difficili.

Del resto, in realtà non c’è nemmeno lo spazio per recuperare in futuro il gettito che al momento manca all’appello. La maggior parte dei contribuenti che hanno aderito alla “Pace fiscale” ha deciso di mettersi in regola pagando in un’unica soluzione, mentre fra coloro che hanno scelto le rate molti si sono dati alla fuga dopo il primo versamento, giusto il tempo di far interrompere gli accertamenti del Fisco a loro carico.

Ora, il punto è che questo pasticcio non è il primo. Come dimenticare il capolavoro di Quota 100? L’ex misura-bandiera della Lega – che all’epoca faceva il paio con il reddito di cittadinanza pentastellato – finora è servita soltanto a fomentare l’ira dell’Europa. Nell’Ue non capiscono proprio per quale motivo l’Italia, con il debito pubblico che si ritrova, debba permettersi l’anticipo pensionistico più ampio del continente. Per fortuna, Bruxelles ha trovato una sponda inaspettata nei pensionandi italiani, che – annusando la fregatura – hanno snobbato in massa questo canale di uscita dal lavoro. Infatti, se è vero che con quota 100 si va in pensione senza penalizzazioni (bastano 62 anni d’età e 38 di contributi), è vero anche che, sfruttando al massimo l’anticipo, si versano 5 anni di contributi in meno e questo comporta un taglio dell’assegno che può fiorare il 15%. Risultato: secondo un’analisi pubblicata un mese fa sul Sole 24 Ore, a giugno 2020 le richieste di uscita con Quota 100 sono state 47.810, ossia nemmeno un terzo di quelle arriva all’Inps nello stesso mese del 2019. Alla fine del triennio di vita della misura, che scadrà il 31 dicembre 2021, si calcola che le adesioni saranno circa la metà di quelle previste dalla Lega.

E che dire della Flat tax? Durante la campagna elettorale che ha preceduto le ultime politiche, Salvini ha farneticato per mesi di un’aliquota Irpef unica. La misura – di per sé incostituzionale e socialmente iniqua – era molto attesa dalle partite Iva e dai piccoli imprenditori del Nord, ma, quando il Capitano è andato al governo, l’unica riforma che è riuscito a produrre è stata una revisione del regime forfettario dell’Iva. L’ennesima presa in giro.

La fortuna del leader leghista è che gli italiani sono smemorati: dimenticano le vecchie bugie e credono alle nuove. Per questo il Capitano negli ultimi giorni è tornato a farsi sotto con una delle sue idee partorite in birreria o davanti a un lauto pasto immortalato sui social. In un tweet, Salvini ha parlato di “tassa unica al 15% sul fatturato post-virus”, spiegando che “i soldi fatturati in questo periodo è giusto che rimangano agli imprenditori. Per ripartire. Serve lasciare libertà di fare impresa”. Già, servirebbero anche politici che sappiano di cosa parlano: le imprese non pagano le tasse sul fatturato, ma sugli utili.

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