Quota 100 è uno degli argomenti su cui Matteo Salvini dà miglior prova del suo unico talento: fare propaganda a suon di bugie. La settimana scorsa, dal Festival dell’Economia di Trento, il premier Giuseppe Conte ha annunciato un’ovvietà: il rinnovo di Quota 100 “non è all’ordine del giorno”, perché la misura era “un progetto triennale che veniva a supplire a un disagio sociale”. Queste parole hanno spalancato la diga Salvini, che subito ha iniziato a inondare i social di panzane.

“Vogliono tornare alla legge Fornero? La Lega non glielo permetterà, promesso - ha tuonato il leader della destra - Non si scherza con i sacrifici di milioni di lavoratrici e lavoratori italiani”. E, come se non bastasse, ha piazzato anche l’hashtag #Forneromaipiù.

A sentire Salvini, si direbbe che Quota 100 fosse una riforma strutturale delle pensioni interamente sostitutiva della Fornero. Peccato che non sia vero. Anzi, questa affermazione contiene due bugie grandi come palazzi.

La bugia numero uno riguarda la durata di Quota 100, che non è mai stata una riforma strutturale del sistema previdenziale. Al contrario, fin dal primo giorno ha avuto una data di scadenza – il 31 dicembre 2021 – fissata proprio dalla Lega quando era al governo con il Movimento 5 Stelle, ai tempi del Conte 1.

La bugia numero due riguarda la natura stessa di Quota 100, che non ha mai, nemmeno per un minuto, sostituito la legge Fornero. Può darsi che questa verità risulti incredibile a molti elettori leghisti, ma è incontestabile: la legge Fornero non è mai stata abolita, è tuttora in vigore e gode di ottima salute.

Lungi dall’essere una vera riforma delle pensioni, Quota 100 è solo uno scivolo aggiuntivo, che permette di lasciare il lavoro con almeno 62 anni di età e 38 di contributi. Ciò non toglie che i requisiti standard per andare in pensione rimangano quelli fissati dalla Fornero: al momento, per la pensione di vecchiaia servono 67 anni di età più 20 di contributi, mentre per quella anticipata è necessaria un'anzianità contributiva di 41 anni e 10 mesi per le donne e di 42 anni e 10 mesi per gli uomini. Peraltro, tutti questi numeri sono destinati a salire in futuro per l’adeguamento alla speranza di vita, altro aspetto che la legge leghista ha lasciato inalterato.

Si potrebbe obiettare che, pur non essendo risolutiva, Quota 100 abbia comunque migliorato la situazione per i pensionandi italiani. Ma allora come si spiega il suo scarso successo? Quando approvarono la misura, Salvini e Di Maio parlarono di un milione di nuovi pensionati in cambio di un milione di nuovi posti di lavoro. Una sparata fantasiosa quant’altre mai. Fin qui, le domande accolte per il pensionamento anticipato con Quota 100 sono state poco più di 200mila e la disoccupazione giovanile continua a volare.

Già, perché anche il cosiddetto “effetto sostituzione” è una balla: visto l’affanno dell’economia italiana ancora prima del Covid – e a maggior ragione adesso, che è iniziata la più grave crisi dal dopoguerra – non è mai stata vera l’equivalenza secondo cui a ogni lavoratore in uscita corrisponde un nuovo posto per un giovane.

Ma il vero punto della questione è un altro. L’insuccesso di Quota 100 si spiega con un trucco che i lavoratori italiani hanno capito subito: in teoria, la misura non prevede penalizzazioni per chi lascia il lavoro in anticipo; in pratica, la penalizzazione è implicita, perché se vai in pensione a 62 anni invece che a 67 versi cinque anni di contributi in meno, di conseguenza l’assegno previdenziale è più basso (la differenza può arrivare al 15%).

Tutto questo ha anche un effetto collaterale positivo. Visto che, alla fine del triennio, le adesioni a Quota 100 saranno di gran lunga inferiori a quelle previste dalla Lega, lo Stato potrebbe risparmiare fino a 6,8 miliardi dei 21 stanziati. Un tesoretto notevole, che, magari, potrebbe essere usato per una riforma delle pensioni un po’ meno fasulla di quella salviniana.  

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