Archiviate le pose littorie da campagna elettorale, Giorgia Meloni fa di tutto per piacere alla Commissione europea. A parte i soliti favori agli evasori e alla criminalità (leggi: tetto al contante e condoni), la manovra che il nuovo governo ha messo in cantiere è draghiana fino al midollo e non conterrà gli sbandamenti sui conti pubblici che molti temevano. Questo però non basterà a salvare la premier dallo scherzetto che l’Ue sta preparando al nostro Paese.

 

Mentre qui si discetta di rave e di toniche influencer laureate in tempi record, Bruxelles mette a punto una riforma del Patto di Stabilità che rischia di portare il nostro Paese al commissariamento (o a qualcosa di molto simile). Le nuove proposte dovrebbero essere approvate dall’esecutivo comunitario questo mercoledì, ma non potranno comunque entrare in vigore prima del 2024, visto che il Patto - a causa prima del Covid e poi della guerra - rimarrà sospeso anche per tutto l’anno prossimo.

Ad oggi, i Trattati prevedono che chi ha un rapporto debito-Pil superiore al 60% debba ridurre ogni anno l’indebitamento di un ventesimo della quota eccedente la soglia. Una regola folle, che di fatto - fra mille eccezioni e ricalcoli - non è mai stata applicata davvero. Per intenderci: se nel 2024 l’Italia dovesse obbedire a un precetto del genere, dovrebbe ridurre ogni anno il debito di almeno 50 miliardi. La ragione è che il nostro debito-Pil è più del doppio di quello consentito dalle regole: siamo vicini al 150%, secondi solo alla Grecia in questa classifica. Il problema è che la pandemia ha fatto allargare l’indebitamento di tutti i membri dell’Ue e, ad oggi, anche la Francia sarebbe in grande difficoltà se dovesse tornare alle vecchie regole. Di qui, la necessità della riforma.

Con la revisione del Patto, la regola della correzione pari a un ventesimo della quota eccedente il 60% viene cancellata, così come un’altra regola importante, quella che obbliga chi non raggiunge il pareggio di Bilancio a migliorare i saldi di finanza pubblica dello 0,5% l’anno. Fin qui solo belle notizie, ma purtroppo non è finita.

In cambio di tanta (finta) generosità, infatti, i “Frugali” nordeuropei pretendono di rafforzare i controlli e le sanzioni. In sostanza, i Paesi con debito eccessivo dovranno concordare un piano di rientro quadriennale con la Commissione. Non ci saranno criteri generali applicabili a tutti, ma ogni caso sarà valutato singolarmente. Tradotto: dal primo gennaio 2024 i margini di manovra del governo italiano in politica economica saranno ridotti al lumicino.

Da quel momento in poi ogni anno la presentazione della legge di Bilancio si trasformerà in un esame da superare con i professori di Bruxelles, sul modello di quanto già previsto per la realizzazione del Pnrr, con verifiche costanti e l’indicazione di un percorso di aggiustamento fiscale che punta a rendere sostenibile il debito. E per chi non rispetterà gli impegni e la tabella di marcia scatterà in automatico la procedura d’infrazione, con il ritorno in campo della cara vecchia Trojka.

D’altra parte, la cancellazione della regola del ventesimo non vuol dire affatto che saranno aboliti i parametri di Maastricht: i limiti del 3% per il deficit/Pil e del 60% per il debito/Pil resteranno in vigore. Anzi, a loro si aggiungerà una nuova soglia: il 90% del rapporto debito/Pil, destinato a distinguere i Paesi con debito elevato (fra il 60 e il 90) da quelli “ad alto rischio” (oltre il 90). La Germania è ovviamente sotto il 90 e la Francia poco sopra: non avranno, quindi, nulla di cui preoccuparsi. L’Italia è invece destinata a rimanere un Paese “ad alto rischio” nei secoli dei secoli e su di lei si continueranno a concentrare le attenzioni di Bruxelles. Con buona pace dei sovranisti al governo, la “pacchia” è davvero finita. Ma non per l’Europa.   

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