di Alessandro Iacuelli


La Corte di giustizia europea ha condannato l'Italia per l'inceneritore di Brescia, gestito dalla municipalizzata ASM. La causa è il mancato eseguimento della Valutazione d'Impatto Ambientale (VIA) prima dell'attivazione nel dicembre 2003 della cosiddetta "terza linea". La VIA è stata realizzata sì, ma solo retroattivamente nel 2004, quindi con l'impianto già realizzato e funzionante e solo dopo l'intervento della Commissione europea. Condanna anche per la mancata pubblicazione della comunicazione di inizio attività della stessa terza linea. I giudici hanno ribadito che i cittadini devono essere sempre informati in merito alle domande di nuove autorizzazioni per gli inceneritori "al fine di consentire al pubblico di esprimere le proprie osservazioni prima della decisione dell'autorità competente", si legge nel testo della sentenza. I giudici europei quindi sottolineano che non sono state rispettate le normative comunitarie per non aver sottoposto alla valutazione d'impatto ambientale il progetto di terza linea e, per la prima volta, per non aver permesso all'opinione pubblica di esprimere le proprie osservazioni. Un precedente importante, per il futuro, in tutti quei luoghi ove le scelte che condizionano il futuro di una comunità vengono prese senza che i cittadini vengano interpellati.

Secondo la Commissione Europea, la terza linea dell'inceneritore, classificata come impianto che effettua operazioni di recupero con capacità superiore a 100 tonnellate al giorno (le biomasse bruciate nell’impianto bresciano si aggirano attorno alle 600 tonnellate al giorno), ricade nell'ambito di applicazione della direttiva 85/337 e, di conseguenza, avrebbe dovuto essere sottoposta al procedimento di VIA prima di essere autorizzata e poi costruita. La Commissione ha rilevato che, se il progetto non è stato oggetto di una VIA, è a causa della normativa italiana stessa, che non prevede l'assoggettamento ad una tale valutazione degli impianti di trattamento dei rifiuti sottoposti alle procedure semplificate.

Da parte sua, l’Italia ha sostenuto che, dl momento che la terza linea dell'inceneritore procede al recupero dei rifiuti ed è sottoposta alle procedure semplificate, essa è sottratta alla procedura di VIA e che la direttiva 85/337 esclude dal suo ambito di applicazione gli impianti che procedono al recupero di questi ultimi.

L'inadempimento contestato dalla Commissione, e riconosciuto dai giudici in Lussemburgo, è quindi solo la conseguenza dell'applicazione ad un caso particolare della normativa nazionale, che è già stata considerata contraria al diritto comunitario. La nota della Corte di Giustizia classifica addirittura le norme italiane al riguardo "incompatibili con il diritto comunitario" già dal novembre 2006.

La terza linea dell'impianto è stata messo in servizio nel dicembre 2003 e sottoposta ad una VIA retroattiva soltanto nel 2004, dopo l'intervento della Commissione europea che nel 2003 aveva chiesto chiarimenti. La terza linea dell'impianto di via Malta in realtà è impiegata unicamente per le biomasse e, grazie ad essa, la capacità dell'impianto ha raggiunto le 2000 tonnellate al giorno. Ricordiamo che negli anni '90 era stato autorizzato il progetto, quindi la costruzione, dell'impianto per un totale di 1350 tonnellate al giorno.

I giudici hanno inoltre ribadito che tutte le domande di nuove autorizzazioni per gli inceneritori "devono essere rese accessibili in luoghi aperti al pubblico al fine di consentire al pubblico di esprimere le proprie osservazioni prima della decisione dell'autorità competente". Nel caso di Brescia non c'è stata una vera e propria "domanda di autorizzazione all'esercizio" per la "terza linea", ma solo una semplice "comunicazione di inizio attività". Tuttavia la Corte Ue ha stabilito che la seconda procedura è "assimilabile" alla prima ed é quindi anch'essa soggetta all'obbligo di pubblicazione, in nome del principio della trasparenza del processo di autorizzazione.

Quindi, doppia condanna per l'Italia alla Corte di giustizia europea sul caso dell'inceneritore di Brescia. Ci auguriamo che sia di monito per gli altri impianti italiani, soprattutto per quelli che, in costruzione in regioni come la Campania, afflitte da una durevole emergenza rifiuti, hanno avuto accesso a procedure semplificate al punto di poter eludere la Valutazione di Impatto Ambientale, come nel caso di Acerra.

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