di Giovanna Pavani

Ancora una volta la Corte di Cassazione sopperisce, con una sentenza, all'inettitudine della politica. E riaccende le polemiche su un tema, quello del testamento biologico, colpevolmente lasciato cadere nelle aule parlamentari per manifesta volontà di insabbiamento. Il caso di Eluana Englaro – la ragazza in coma vegetativo da 15 anni e il cui padre chiede inutilmente da anni di poter interrompere l'alimentazione forzata in modo legale – è riemerso dalle nebbie del Palazzaccio con una sentenza dura, che tuttavia è velata di un'attenzione all'umanità e alla dignità della persona. Tutti concetti assenti, invece, in quella classe politica che dovrebbe dare risposte sui grandi temi che interessano alle persone. Ma non lo fa. Per paura del Vaticano. Che ieri, con puntualità svizzera, ha voluto ribadire che l'Italia non è affatto uno Stato laico. E che, anzi, i giudici della Cassazione, si dovrebbero vergognare per aver emesso una “sentenza indegna, inaccettabile, che orienta il legislatore verso l'eutanasia” e che dimostra, se ce ne fosse bisogno, in quale “vuoto di valori” sia caduto il Paese. “Attribuire a ognuno una potestà indeterminata sulla propria esistenza – si legge nella nota dell' Osservatore Romano - avrebbe conseguenze inimmaginabili”. Su che cosa? Sulla perdita del loro potere temporale? Il problema, a ben guardare, sembra essere solo questo. La Cassazione, per fortuna, la vede un po' diversa. Ed ha infatti stabilito che la salute di un individuo non può essere “oggetto di imposizione autoritativo-coattiva” e che “il diritto di autodeterminazione del paziente non incontra un limite nel sacrificio della vita”. Parole apparentemente di difficile comprensione ma che, tradotte, significano che nessuno può somministrare alcun trattamento a un malato contro la sua volontà. Sulla base di questo si può, quindi, riconsiderare la possibilità di staccare la spina ad Eluana Englaro, proprio per rispettare il desiderio della ragazza stessa, espresso ai suoi cari quando era ancora in salute, di non dover subire la sorte, per lei indegna, di una vita sospesa in eterno.

Al di là della ragionevole soddisfazione dei parenti della vittima, che hanno accolto la sentenza della Cassazione definendo quello dei giudici “un sussulto di umanità”, resta il problema: in Italia non esiste una legge sul testamento biologico. E anche la volontà espressa precedentemente all'incidente dalla giovane vittima, non può essere considerata legalmente valida ai fini dell'interruzione della terapia. Paradossalmente, se anche Eluana Englaro avesse lasciato un testo scritto con le sue precise volontà di non essere tenuta in vita forzatamente in caso di coma vegetativo, l'osservanza di queste ultime da parte dei medici curanti non li avrebbero in alcun modo salvati dalla possibilità di essere incriminati per omicidio volontario. Neppure colposo, addirittura volontario! Il perchè è chiaro: non esistendo una legge di riferimento sul testamento biologico, i medici sono costretti a “salvare una vita” comunque, anche se chiamarla vita, nel caso di Eluana Englaro, sembra davvero una beffa.

La sentenza della Cassazione, che non colma comunque un vuoto legislativo, ma consente almeno di rivedere la pratica attraverso un nuovo processo, ha un valore aggiunto oltre a quello, sottolineato dal padre della vittima, di costituire un “sussulto di umanità”. Ed è di aver messo alla sbarra le divisioni trasversali esistenti nell'attuale composizione parlamentare che bloccano volutamente l'iter della legge sul testamento biologico per pressioni vaticane fin troppo note e sempre meno sopportabili. Ancora oggi, al Senato, dopo un anno di lavoro, 49 audizioni e dieci ipotesi di disegno di legge, quella sul testamento biologico è una normativa ancora lontanissima da un possibile approdo. Anzi, sarebbe più giusto dire che è del tutto arenata in commissione Sanità.

Ora, a parere del presidente della medesima commissione, il professor Ignazio Marino, e dell'ex ministro della Salute, Umberto Veronesi, in assenza di una normativa che stabilizzi e renda vincolanti le volontà del paziente, si potrebbe considerare l'eventuale testamento biologico come estensione del consenso informato alle cure che dovrebbe essere firmato da ogni persona prima di intraprendere qualsivoglia terapia. Ma anche su questo intelligente escamotage si è abbattuta, con tutto il suo peso, l'idea oscurantista clericale secondo la quale sarebbe più alto “il pericolo di strumentalizzazioni sul valore intrinseco della vita” piuttosto che la doverosa osservanza delle volontà ultime di una persona tanto sfortunata da essere condannata a vita a una “non morte”.

Conclusione: sulla legge sul testamento biologico non se ne farà nulla. Almeno per ora. Ma dopo la sentenza della Cassazione sul caso Englaro nulla sarà come prima. Perchè è chiaro, fin da adesso, che il nuovo processo voluto dal padre della vittima avrà un esito diverso dal precedente e che, quindi, tutti i casi simili a quello della Englaro potranno essere riletti alla luce del dispositivo, in nomine legis , della Suprema Corte. Resta l'amarezza di dover costatare, ancora una volta, che è la supplenza dei giudici a dover tenere alta la bandiera della laicità dello Stato e non il Parlamento che, soprattutto in occasioni come queste, dovrebbe esserne il garante assoluto. Ai parenti delle vittime, tuttavia, resta una consolazione non secondaria: quella di sapere che, da oggi, sono protetti dai principi della Carta Costituzionale e da una magistratura che dimostra di volerne difendere i principi.

Di certo non mancheranno le alzate di scudi e nuovi tentativi di cambiare le carte in tavola da parte delle solite associazioni bigotte, come “Scienza e Vita”, che si ergono a difensori dei valori dell'umanità dimostrando sempre di averne poca quando c'è di mezzo la sofferenza altrui, dei vivi che restano e di quelli che loro vorrebbero condannare ad una vita senza dignità. Ma saranno, le loro, pallottole spuntate. E' vero che non c'è una legge sul testamento biologico, ma oggi c'è una sentenza della Cassazione. Se fosse arrivata prima, anche la vicenda di Piergiorgio Welby, probabilmente, sarebbe stata meno lacerante e dolorosa. Cosa che, ovviamente, alla Chiesa non interessa. Semmai la preoccupa.

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