di Maura Cossutta

In pochissimi giorni sono già 40.000 le firme su una petizione di cui non è dato trovar traccia sui quotidiani né tanto meno sui media. L’ha promossa un gruppo di donne, da Margherita Hack a Cristina Comencini, da Lidia Ravera a Fiorella Mannoia, da Rossana Rossanda ad Adriana Cavarero. Con tante altre ancora. Si intitola “Liberadonna” e parla ovviamente dell’aborto, della legge 194, ma non solo. Si tratta infatti di una presa di posizione politica e che alla politica intende rivolgersi, proprio nel bel mezzo della campagna elettorale. E’ rivolta a Veltroni, a Bertinotti e a tutti i leaders di quello che ormai fu il centrosinistra. “Ora basta!” la petizione comincia proprio così, gridando quello che ognuno di noi avrebbe voluto gridare in queste settimane e che avrebbe soprattutto voluto sentire dalla voce autorevole di chi si candida al governo del paese, “nell’interesse del paese”. Una richiesta chiara di uno stop che sia definitivo, senza tentennamenti. Un punto e a capo, insomma. Archiviato, rimandato al mittente, irricevibile. “L’offensiva clericale contro le donne - continua la petizione - ha raggiunto livelli intollerabili e intollerabile è la mancanza di reazione della politica”. Per la prima volta nella storia della Repubblica l’attacco alla legge 194 è diventato obiettivo dichiarato e diviene persino l’esclusivo programma elettorale di un partito che non c’è. Non è questione di campagna elettorale, questa? I cosiddetti temi etici devono stare fuori dalle polemiche elettorali- si dice. Vuol dire che si rimanda tutto a dopo il 13 aprile? Le donne devono aspettare che si decidano le sorti del governo per trovare ascolto, rispetto, parola? Il senso della petizione sta qui, nella presa di posizione pubblica di donne autorevoli, diverse tra loro, ognuna con una storia anche politica differente, ma tutte con il coraggio di gridare che non se ne può più e che questo non è un sentimento emotivo, ma un sentimento politico.

Le certezze di un voto non sono più tali, si chiede una verifica. Indipendentemente dagli schieramenti degli apparati dei partiti, vecchi o appena nati che siano, fuori dai condizionamenti della ricerca di candidature, senza la copertura dei leaders onnipresenti. Mettendo il proprio nome davanti non per narcisismo, ma per entrare a gamba tesa nel dominio mediatico che considera invisibile l’anonimato delle persone.

Si tratta della legge 194, ma non solo di questo. La questione è ancora più grande, perchè riguarda la politica e la prospettiva politica del nostro paese. E’ infatti sotto attacco non solo una legge, ma anche un pezzo di storia, di cultura. Delle donne, ma anche di tutti, di una società che nei decenni passati è cresciuta, si è emancipata, è cambiata. La politica oggi accantona questa storia, questa cultura, ma questa rimozione la indebolisce. Se dovrebbe essere scontato che prima della politica viene sempre la cultura politica, oggi il pensiero politico dove sta? Se la politica si è dimostrata e continua a dimostrarsi inadeguata di fronte allo strabordare dei temi etici che hanno invaso l’agenda istituzionale, è anche perché questo passato è stato rimosso e con questa storia anche il pensiero critico, a partire da quello delle donne.

Oggi il femminismo è un tabù, una parola impronunciabile. Sinonimo di parzialità, di radicalismo arrogante, di vecchio. Si mettono in lista tante giovani ragazze (e meno male!), ma donne che rivendicano il loro femminismo non vengono neppure prese in considerazione. Mentre il “nuovismo” avanza, non solo non si trovano parole nuove contro l’offensiva clericale contro le donne (l’unica risposta continua a essere il “voto secondo coscienza” dei futuri parlamentari!), ma si rimuove anche quello che è stata la novità più straordinaria del secolo scorso.

E’ il femminismo che ha imposto il superamento dell’ universalismo astratto, declinando l’uguaglianza a partire dalle differenze; che ha arricchito l’idea della democrazia a partire dall’empowerment delle persone; che ha messo i corpi al centro della coerenza delle politiche. La laicità non è solo l’affermazione di quello che la Costituzione sancisce, cioè la separazione tra Stato e Chiesa e non può essere solo rivendicazione delle libertà e dei diritti di tutti, intesi come “diritti proprietari” di individui maschili. Sulla laicità il femminismo è andato ben oltre il pensiero liberale e quello dei nostri radicali nostrani, perché ha imposto il riconoscimento dell’esperienza umana della differenza sessuata. La relazione tra feto e madre definisce un ambito del diritto che non può essere normato senza il riconoscimento della libertà di scelta della donna a essere madre.

Oggi, mentre anche un documento dell’Ordine dei Medici sulla legge 194 è messo sul banco degli imputati e dilaga la chiamata all’obbedienza delle gerarchie vaticane, mentre medici e farmacisti si dichiarano “cattolici” e in quanto tali non si sentono tenuti a rispondere al giuramento d’Ippocrate, ma ai precetti della dottrina, mentre l’obiezione di coscienza da “diritto individuale” diventa comportamento organizzato per sabotare la legge, la politica che fa? Continua a dire che questi temi non devono far parte della campagna elettorale? Continua a dichiarare la resa?

Fino al 13 aprile succederanno allora ancora tante cose, ma forse succederà anche qualcosa che non era previsto. I sondaggi dicono che sono ancora molti gli indecisi, anche tra chi ha sempre avuto una storia di sinistra, che sapeva con certezza per chi votare, che si impegnava anche per passione e convinzione a conquistare personalmente qualche voto per uno schieramento o un partito. Oggi le cose sono più complicate. E si fanno più complicate, di sicuro, per le donne. Che sono più della metà dell’elettorato del nostro paese.

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