di Rosa Ana De Santis

Due occhi neri e un sorriso spalancato alla vita. Siamo abituati a vederla cosi Eluana, giovanissima e allegra nei telegiornali. Ma Eluana, quel volto lì non lo possiede più. E’ rimasta solo la memoria di una storia ormai trascorsa e compiuta, condannata a una permanenza forzata in uno stato vegetativo persistente cronico. Non c’è traccia di vita. Dal giorno dell’incidente stradale del lontano 18 gennaio 1992 Eluana è un corpo sordo e abbandonato, un’appendice inconsapevole delle macchine, due occhi ingoiati da un silenzio da cui non si esce più. Un vuoto che è proprio quello asciutto e impietoso della morte e che solo i più ipocriti si ostinano a non riconoscere scomodando lezioni sulla vita e rinunciando alla clemenza della pietà. La Corte d’Appello civile di Milano, data la straordinaria durata dello stato vegetativo, ha concesso che venga staccato il sondino che l’alimenta. Una decisione ormai inevitabile soprattutto per quell’anelito di libertà e per la visione della vita che Eluana aveva e che suo padre ha disperatamente raccontato raccogliendo troppo spesso rimproveri o condanne. Impudenza e arroganza di chi del dolore fa bandiera o non ne conosce affatto le sembianze. Cosi suo padre accoglie quest’importante decisione parlando di liberazione per sua figlia: la fine di un accanimento senza speranza e di un’ignobile tortura. Il caso di Eluana, accertata l’irreversibilità dello stato vegetativo, si è riaperto proprio sulla questione etica e morale. Che visione avesse della vita e della dignità di viverla, quale senso di libertà la ispirasse. A garanzia che il padre non parlasse per interessi egoistici era stato nominato anche un tutore garante.

Il provvedimento è immediatamente efficace, ma saranno il padre di Eluana e il curatore, l’avvocato Alessi, a decidere se procedere subito alla sospensione dell’alimentazione o attendere i sessanta giorni previsti per un eventuale ricorso in Cassazione. L’epilogo riporta alle menti la storia di Terry Schiavo, così la modalità con cui accompagnare queste sopravvivenze forzate alla morte definitiva. Non si tratta di eutanasia, la differenza di sostanza e anche di processi è forte e vuole ribadirlo il padre di Eluana. Forse ci tiene ancora di più perché conosce bene che quella parola nel nostro paese è contigua all’omicidio e conosce soprattutto il rumore di alcune polemiche e di fin troppi anatemi che su queste storia pesano come macigni.

E infatti non tarda ad arrivare dal Vaticano la condanna che parla di decisione grave e inaccettabile. A dirlo è Monsignor Fisichella, presidente della Pontificia Accademia della vita. E nella sue parole si avverte il profondo e capzioso disordine degli argomenti dosati a convenienza. L’imprecisione grossolana di parlare di eutanasia di fatto fino a ribadire che il dovere di una società civile è assistere i deboli, per arrivare poi sul finale trionfante al principio primo dell’indisponibilità della vita che vorremmo tanto chiedere al soldato di dio su quale laico e razionale principio morale sarebbe fondato.

Parole che feriscono l’anima di una società che dovrebbe riconoscersi nel peregrinare di questo padre alla ricerca di giustizia e nel sorriso di Eluana. Ferisce la velata e insidiosa accusa che dietro questa storia ci sia forse l’ombra di una volontà meschina che aspira a smarcare l’assistenza o la cura del debole, che mira a eliminare il figlio, a togliere con un colpo di morte il pensiero di una vita sospesa.

Falsità, ricostruzioni fantasiose del reale, slittamenti pericolosi del pensiero per far passare l’idea che Eluana sia viva e che qualcuno voglia farla morire. E ferisce ancora di più perché i protagonisti sono loro: un padre e una figlia. Perché quella figlia è morta, quel corpo è vuoto, le emozioni, i sentimenti e i pensieri sono andati via e non torneranno. Lo dicono i medici, non i preti. La storia di Eluana che trova finalmente la sua pace e la sua giustizia potrebbe, questo l’auspicio, aprire il varco affinché quanto subìto da suo padre in questi lunghi e penosi 16 anni possa non ripetersi.

L’augurio è che di testamento biologico, di non accanimento terapeutico e di eutanasia si possa parlare senza aver bisogno dell’ultimo caso disperato regalato dalle cronache. In un paese che funziona soprattutto con l’isteria da notizia del caso eclatante, è forse arrivato il momento di portare queste questioni, che sono prima di tutto storie, al tavolo della politica. Non si può rimandare ancora per aspettare il caso di un'altra Eluana e di altri 16 anni di morte non riconosciuta, né si può abdicare al fanatismo religioso per una requiem di soluzione.

A Monsignor Fisichella potrebbe rispondere la stessa Eluana. Cittadina invisibile, morta e non sepolta per codardia di uno Stato vetusto e cieco. Anima inascoltata nel suo senso profondo di libertà e nel rispetto grande della vita di giovane costretta a morire donna senza aver vissuto più un solo giorno da allora.

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