di Maura Cossutta

La notizia viene dall’Inghilterra ed è una buona notizia. Una coppia si è sottoposta alle tecniche di procreazione assistita per evitare di trasmettere alla figlia il rischio altissimo di ammalarsi di tumore al seno. Un rischio genetico, in quanto l’uomo è portatore di un gene che nell’85% dei casi provoca nella prole l’insorgenza di questo tumore. Le tecniche di procreazione assistita hanno permesso di produrre un numero sufficientemente elevato di embrioni, per riuscire a trovare statisticamente quelli sani. La diagnosi genetica pre impianto ha permesso di sapere tra gli 11 embrioni prodotti quali fossero portatori del gene BRCA-1 e quali invece sani, per impiantarli poi, solo questi, nell’utero della donna. Ora la bimba che nascerà potrà vivere senza l’angoscia di una malattia annunciata, che purtroppo molto spesso è causa di grandissima sofferenza e anche di morte. Il prof. Dalla Piccola non è d’accordo e critica questo successo da un punto di vista che vorrebbe sembrare solo medico, scientifico, ma senza riuscirci. Non parla della sacralità degli embrioni (anche se tutti lo conoscono per essere stato sempre l’alfiere della difesa dei principi assoluti non negoziabili della Chiesa), ma sostiene che tutto questo è inutile, in quanto l’insorgenza di questo tumore è solo in parte a rischio genetico, che resta comunque il rischio di ammalarsi, come per tutte le donne. Una ovvietà, che fa specie che uno studioso così autorevole voglia rimarcare. Quello che il prof. Dalla Piccola non dice è ancora più ovvio e vero: un conto è rientrare in una statistica “normale”, da tenere controllata attraverso la prevenzione degli screening mammografici ed ematologici; altra cosa è sapere fin dalla nascita che la propria statistica è una condanna annunciata.

Ma soprattutto quello che il professore non dice è quello che capita a tutte quelle bambine che hanno la sfortuna di essere portatrici del gene BRCA-1, e cioè che allo scoccare dell’adolescenza saranno loro rimossi entrambi i seni, perché questa è l’unica misura preventiva vera che possa cercare di evitare il rischio di ammalarsi di tumore. Un intervento chirurgico che avviene violentemente proprio quando l’immagine della femminilità si sta costruendo, agendo profondamente nella stessa percezione identitaria, nell’esercizio gioioso della propria sessualità, lasciando segni indelebili non solo fisici, ma psichici, emotivi. Un intervento violento che impedirà a quelle donne di allattare, che ricorderà sempre la paura, l’angoscia, il senso di morte che le tracce delle storie familiari, di madri, sorelle, zie, nipoti sempre ricordano.

Quindi la questione è un’altra, come tutti comprendono: poter eliminare il gene BRCA-1 è un grande successo, ma il fine di questo esperimento non deve essere quello di salvare gli embrioni, ma quello di salvare la vita di una bambina e di una donna. Se passa l’idea che è giusto poter produrre anche 11 embrioni e poter fare la diagnosi pre impianto, salta il castello ideologico della legge 40. Il professore lo sa, per questo deve insistere sull’inutilità di quell’esperimento, senza toccare la questione della legge, dei divieti, che apparirebbero questa volta del tutto inumani, dal momento che ognuno di noi in quella situazione farebbe lo stesso.

Oggi in Italia, nonostante le nuove linee guida di Livia Turco, che permettono finalmente la diagnosi genetica pre impianto, quella bambina sarebbe nata con il gene BRCA-1 o non sarebbe nata, perché quella madre avrebbe rifiutato l’impianto. Produrre solo 3 embrioni, infatti, impedisce che vengano statisticamente selezionati quelli sani, come è avvenuto con gli 11 embrioni prodotti nell’University College London Hospital. Il tema della cosiddetta selezione genetica degli embrioni (cavallo di battaglia dei fondamentalisti, che hanno evocato i fantasmi dell’eugenetica nazista) diviene “umano”, caritatevole, comprensibile. E accettabile. Sacrificare degli embrioni non appare più come il male assoluto, ma la possibilità che il progresso scientifico offre per la vita di tante bambine. E’ questa la paura del professore, che cresca un senso comune che consideri giusto utilizzare le scoperte scientifiche per alleviare le sofferenze, impedire una morte evitabile.

A cosa serve la scienza? Verso cosa deve tendere la conoscenza, la scienza? Chi stabilisce i fini e di quale natura sono? Se queste domande cominciasse a farsele la società nel suo insieme (e non solo la comunità scientifica o le istituzioni), lo stesso progresso scientifico se ne avvantaggerebbe. E’ infatti indubbio che le scoperte tecnologiche e scientifiche occupano gran parte dei mercati e che il biotech è uno dei mercati che “tira” di più in tutto il mondo e anche in Europa. E dietro il mercato c’è sempre il rischio di un profitto che si allontana dall’etica dei principi e dei diritti, per trovare sempre più ingenti finanziamenti e risorse, quasi tutte private. Il “Progetto Genoma”, per esempio, apre scenari entusiasmanti ma anche temibili, per le ripercussioni possibili sul sorgere di nuove discriminazioni o disuguaglianze, a partire dall’utilizzazione (già in atto) dei dati genetici da parte delle assicurazioni per la salute.

La scienza va accompagnata, con la responsabilizzazione della collettività, con la costruzione di una cultura critica rigorosa, senza steccati ideologici né tanto meno religiosi. Con un profondo senso di umanità. Non serve accodarsi al biotech, così come non servono i divieti in nome di moderne Guerre Sante in difesa degli embrioni. E non serve l’ipocrisia del cosiddetto ricercatore, che nel proprio laboratorio è scienziato e fuori alfiere dei valori non negoziabili. Il prof. Dalla Piccola, per esempio, dirige un laboratorio di Biologia molecolare, ma poi sostiene con candore che la selezione degli embrioni sani è “maligna”. Dovrebbe con più pudore chiedersi a cosa serve la ricerca, la conoscenza e l’informazione, se poi si nega la possibilità alla scienza di migliorare la vita delle persone?

Dall’Inghilterra finalmente non arrivano più notizie di pecore Dolly clonate. Non ci sono più mostri in prima pagina, ma semplicemente bambine salvate.

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