di Rosa Ana De Santis

Basta andare una mattina come tante fuori dalle scuole di una qualunque città. Il rumore e il chiasso di sempre, mano nella mano delle proprie mamme o di qualche papà. Sono tanti quelli stranieri. I più numerosi. Eppure cattura ancora l’attenzione e sorprende un po’ vedere piccoli visi scuri, occhi esotici, toni e accenti dell’est. E’ questa la foto dei nostri figli e delle loro scuole. Succede ormai che un bambino italiano conosca, ad esempio, le abitudini e le regole di vita di un compagno di scuola musulmano. Le sue preghiere, il cibo, la descrizione della sua casa e della sua vita familiare. Succede che torni a casa con un vocabolo di lingua straniera imparato per gioco al mattino in classe. Succede ormai che andare a scuola offra la possibilità di conoscere pezzetti nuovi di mondo, un nuovo modo di pensare il gruppo, dove la differenza anche quando si trasforma in difficoltà ha un valore educativo irrinunciabile. Se solo qualcuno ci insegna a riconoscerlo. Nel mondo civile é così, in quello leghista invece non é previsto. Non è virtuosismo poetico per dipingere a tutti i costi di colori pastello realtà che davvero portano il peso di difficoltà grandi da gestire, figuriamoci da valorizzare. Soprattutto quando vivono in zone di periferia, lì dove é faticoso il lavoro e il rientro a casa, lì dove non c’è bellezza e tutto, dai palazzi alle strade, è troppo grigio per un bambino. Questa è l’accusa populista dei leghisti. Loro, che la sanno lunga, che hanno scippato sapientemente il voto degli operai per buona grazia dell’incapacità delle sinistre, loro che i problemi sanno affrontarli a colpi di mannaia, concreti e solleciti. Da buoni padani. La Camera ha accolto la mozione della Lega per la nascita delle “classi ponte”, che subito dopo il vicecapogruppo PDL onorevole Bocchino - per tinteggiare meglio d’ipocrisia la proposta del Carroccio - ha chiesto di far denominare “classi d’inserimento”. E cosa possiamo aggiungere se persino Alessandra Mussolini non ci crede, svela la malefatta e parla di provvedimento razzista, chiedendo con urgenza un incontro con la Gelmini ?

E’ davvero molto difficile far crescere più culture insieme. E’ difficile parlare a bambini che non comprendono l’italiano. Esiste un problema di possibile rallentamento del programma didattico. Nessuna teoria sull’integrazione può accampare credibilità e autorevolezza se prescinde dall’analisi attenta dei problemi e dalla sperimentazione delle soluzioni migliori. Nessun paese ha perseguito queste sfide senza incorrere in momenti di grande tensione, che forse non si estinguono mai del tutto.

La storia strana, tutta italiana, è il talento di saper ingoiare tutto d’un fiato l’unico futuro possibile, non solo di non saperlo vedere, ma addirittura di negarselo tornando indietro. Magari fossero i corsi e i ricorsi storici di Vico. Noi siamo i teorici dei ritorni. Quelli tipici di chi ha deciso di suicidarsi. Cosi fa sorridere quel gran parlare di italianità, mentre di italiani ne nascono sempre meno. Una beffa e un destino.

Ma viene da chiedersi come davvero si possa ipotizzare che l’approccio legittimo - e soprattutto efficace - sia quello di separare i bambini. Proprio loro poi. Quelli che prima di tutti sanno andare oltre le differenze pur vedendole chiare. Quelli che possono imparare una lingua in un lampo. Quelli cui si dovrebbe insegnare da piccolissimi i valori dell’accoglienza e della convivenza pacifica nelle diversità. E non c’è da stupirsi che questa elementare regola di convivenza civile, questo valore sacro della democrazia, sia confuso dai leghisti con la retorica delle buone occasioni.

Di fronte alla pioggia di critiche e alle perplessità anche dei più a destra, i sostenitori della guerra dei banchi se la cavano con un atteggiamento di sufficiente disincanto, quasi disturbati dall’insinuazione che sia una proposta razzista. Perché a guardare bene, a scavare con lucidità forse hanno anche ragione. Non è per teoria razziale che i bambini saranno divisi perché, se cosi fosse, perché mettere in una stella classe africani, rumeni, cingalesi? Come se la caveranno in quel caso - negli studi - bambini che non saranno uniti né da una lingua né da una cultura comune? Sembra che non importi granché dal momento che non sono italiani.

A scavare bene. il razzismo, come tanti altri fenomeni sociali, ha solo cambiato le proprie forme, si è solo insinuato come un veleno in altre dinamiche sociali. Come tale, cosi come è nato quasi nessuno è rimasto a sostenerlo, se non qualche revisionista del nazismo. Semplicemente lo stesso concetto di razza è saltato con tutto ciò che ne vive intorno.

Ma questo non significa affatto che non esistano i razzisti. Ora sono xenofobi. Sono quelli che dividono con giudizio di valore i comunitari dagli extra-comunitari. Oggi sono quelli che picchiano un cinese alla fermata dell’autobus. Ecco perché dietro all’ipocrisia di voler risolvere un problema d’integrazione, nell’oscena soluzione proposta se ne svela il vero proposito. Che è discriminare, dividere i figli degli stranieri dai figli degli italiani.

E’ vero, non importa nulla ai leghisti della nazionalità di quei bambini. Sono stranieri e basta. Strano davvero che nessuno nelle file della Lega si sia adoperato a capire che forse per aiutare quei bambini che faticano di più inizialmente nell’apprendimento per ragioni linguistiche - o di semplice adattamento - potessero essere utili ore supplementari d’italiano, test periodici di livello d’apprendimento, insegnanti di sostegno. Forse perché la Gelmini ha già iniziato a licenziarli tutti.

Forse il futuro che immagina questo partito intriso di preistoria e di ormai incurabile ignoranza è fatto di bambini stranieri che avranno studiato in classi differenziate tutte per loro. Dove, allontanati dai bambini italiani, saranno stati aggregati in un gruppo di tanti altri stranieri come loro. Saranno ospiti, tollerati quasi sempre, ma ospiti. Magari avranno imparato meno cose o saranno anche solo additati per aver fatto le classi speciali, il loro programma didattico sarà stato facilitato e agevolato sempre per loro che, parlando tante lingue diverse, proveniendo da paesi lontani, proprio non potevano arrivare ai livelli dei bambini italiani.

E saranno loro magari ad avere difficoltà un giorno a trovare lavoro, posti di lavoro equivalenti a quelli dei padroni di casa. E cosi la nazionalità, nel tempo e senza troppo clamore, diventerà un criterio di merito. E il convincimento diventerà una verità condivisa da tutti, magari anche da loro. E qualcuno perderà anche il tempo a teorizzare, perché no, la presunta inferiorità intellettiva degli stranieri. Lo hanno fatto per secoli con i neri, perché stupirsi.

Non sembra di dover forzare troppo le parole per leggerci dietro lo scenario, ben confezionato s’intende, di una autentica apartheid. Perché i morbi storici peggiori sono iniziati sempre cosi, tinteggiati a fin di bene e silenziosi come solo la banalità del male sa fare. Apartheid senza razzismo, per carità. Il bilancio fa paura. Prima vogliamo prendere le impronte digitali ai bambini rom, poi proponiamo le classi speciali per tutti quelli stranieri. In Italia l’anno d’oro della destra concide con l’anno nero dei bambini.

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