di Rosa Ana De Santis

Ieri mattina Beppino Englaro è arrivato presto con i suoi avvocati. Numero 37 nella lista del giorno: l’ultimo caso ad essere affrontato. In silenzio e in attesa, come tutta la vita da quando sua figlia è stata rubata da un sonno infinito. Una morte liquida che non è piombata in un colpo, ma si è frantumata in pezzetti di giorni tutti uguali e sospesi. Il Pg di Cassazione, Domenico Iannelli, ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. Il Pm di Milano non era ''legittimato a muovere l'azione'', dal momento che non si tratta di ''un interesse generale e pubblico ma di una tutela soggettiva e individuale''. Nel corso dell’udienza il procuratore generale ha proposto “l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione all’impugnazione parte del pubblico ministero della Corte d’Appello di Milano”. Questo riporta una prima nota del presidente Vincenzo Carbone e la sentenza arriverà il più presto possibile. Il padre di Eluana ha assistito all'udienza in prima fila e non ha rilasciato alcuna dichiarazione. Così le fronde politiche guidate dai presidenti di Camera e Senato, che soltanto a luglio si erano divise sul caso rivendicando ragioni di partito, dividendosi in gruppi d’opinione e denunciando l’invasione del potere giudiziario in quello legislativo, si chiuderanno in confessionale. In silenzio speriamo. Cade così, speriamo, il ricorso che era stato motivato dal presunto “conflitto di poteri” e vincono le ragioni della famiglia Englaro. L’avvocato Franco Angiolini dice di lasciare alla Corte la serenità necessaria a esprimersi sulla decisione conclusiva di questa lunga vicenda. E se accadrà che la Corte di Cassazione confermerà la sentenza della Corte di Appello di Milano, verrà interrotta la nutrizione e l’idratazione tramite le macchine che da sedici anni imprigionano un corpo in un perpetuo accanimento mentre una storia, una persona, la vita che aveva sono già altrove.

Quello che è accaduto attraverso la vicenda di Eluana, è non solo che tante altre storie hanno iniziato ad evidenziare in modo più forte le lacune della legge su questi fronti, ma soprattutto a mostrare come questi vuoti siano il limite della cultura politica di questo Paese. E questo tassello quasi conclusivo della Corte di Cassazione ne rappresenta un’eco significativa.

E’ lo Stato ad essere entrato dove non doveva. Ad aver varcato con forza lo spazio dell’intimità esistenziale. Ad aver messo un veto o anche solo ad aver aperto dispute di legittimità su come una giovane donna voleva vivere e morire. Lì dove per ciascuno vige la libertà di rappresentarsi la vita come ritiene giusto, lì dove esistono solo le domande personali sul male e il bene. La Corte ha già detto, proponendo il rifiuto del ricorso, che l’etica cui orientare la propria esistenza appartiene alla libertà di questa giovane donna.

E se persino due genitori si fanno carico di questo testamento di volontà, forzando ogni naturale desiderio di tenere a se un figlio in qualsiasi circostanza, se proprio loro riescono a rispettare la memoria della libertà della propria figlia, perché e con quale debole fondamento giuridico dovremmo farlo noi? Scomodando i pareri pubblici e ingombranti delle istituzioni sul diritto alla vita e su come morire. Da qui dovrebbe ripartire il corretto e sano modo di intendere l’intervento della politica sulla vita e sulla sfera della soggettività.

C’è stato un conflitto, ma non di poteri. La guerra ancora irrisolta é tra lo Stato e il singolo. Dove lo Stato in cui viviamo, per pesante eredità religiosa, fatica a disgiungere il diritto dal bene. Il giusto dal bene. La forma neutrale che è garanzia del diritto tra diverse culture e confessioni religiose e la sostanza del bene. Quella su cui decidono i singoli. Il testamento di ciascuno. Su questo vorremmo che le istituzioni portassero a termine le tante buone intenzioni sul testamento biologico.

Magari senza le contaminazione cattoliche spacciate per scientifiche, risparmiandoci la rappresentazione di Stato etico-confessionale. Tra tanti l’onorevole Binetti che con il titolo suggestivo del “tormento del parlamentare” ha in più occasioni, da ultimo nel faccia a faccia con Ignazio Marino al Congresso Nazionale della Societa' Italiana di Chirurgia tenutosi a Roma, sollevato dubbi e obiezioni sul fatto che la nutrizione e l’idratazione forzata non siano proprio il senso stesso della vita, piuttosto che accanimento terapeutico.

Senza nemmeno indugiare troppo su questo puro riduzionismo biologico dell’esistenza umana, basta tornare alle motivazioni per le quali la Cassazione ha bloccato il ricorso per tenere ben presente che quello che le Istituzioni dovrebbero fare è salvaguardare la libertà che ciascuno ha di decidere della propria vita. Il diritto su cui lo Stato ha il preciso dovere di intervenire è proprio quello che salvaguarda questa libertà personale per impedire che il Parlamento imponga una morale per legge, spacciando per universale una credenza religiosa ben precisa che porta l’etichetta di una Chiesa violenta che - come ha ricordato Beppino Englaro - forse non da rispetto mentre esige di averne.

Sarà ognuno, in quella cornice di diritto, a scrivere la propria storia. Sarà quella che ha lasciato Eluana alla sua famiglia in tante testimonianze. Quella di non voler mantenersi in un limbo senza emozioni e intelletto. Sarà quella di Carlo Morongiu, morto poco tempo fa, che fino all’ultimo, immobilizzato dalla SLA, non aveva dubbi sul voler vivere a qualsiasi costo, senza voce per parlare e con gli occhi paralizzati da una malattia progressiva. Sarà quella di chi rifiuta ogni aiuto o accanimento della tecnica che lo trattenga in ogni condizione fisica quaggiù. Capace di sentire o sospeso nel vuoto come Eluana.

Perché di ciascuno è il compito di dare valore alla propria esistenza, attribuendo valore o disvalore a ogni singolo evento, a ogni azione. Siamo troppo abituati a farci coccolare da entità sovraumane o totalizzanti che attribuiscano senso e significato ai singoli. Siamo cittadini pigri sotto il cielo di uno Stato che ama ancora intervenire in modo paternalistico sulle questioni di vita che semplicemente sono del singolo e non sono pubbliche nel merito della loro attuazione. Pubbliche sono soltanto nella cornice giuridica che le rende possibili, quella che dovrebbe essere costruita su un terreno di universalità e quindi di neutralità rispetto alle concezioni religiose e filosofiche del bene e della vita.

Aspettiamo di leggere la sentenza, ma siamo costretti a udire le strampalate urla vaticane e, temiamo, presto riaprirà bocca anche il siparietto della politica nostrana; i chierichetti-deputati sono attenti al loro seggio. Non si decide nelle aule del Parlamento se una vita come quella di Eluana sia degna di essere vissuta oppure no. Questo lo ha già deciso per sé Eluana affidandolo alla sua famiglia. Vorremmo piuttosto che le Istituzioni lavorassero con dedizione e rigore affinché il clamore di questa vicenda eviti ad altri la sorte di questo inferno imposto per legge, anzi per mancanza di legge. Vorremmo che ciascuno potesse decidere come finire l’esistenza e che non possano più trovare terreno facile insinuazioni sulla volontà autentica del singolo, quando quella di una padre e una madre non bastano più.

Che ci sia il testamento biologico di ogni cittadino. Che permetta a chiunque di non alterare, non obiettare, non invalidare - scomodando teorie metafisiche o morali d’occasione - la volontà del singolo. La libertà è una condizione trasversale alla morale e all’etica, non ce n’è una che sia degna di questo nome che possa legittimarsi sulla censura di quella individuale. Inalienabile. Quando non lede gli altri, come vuole la regola aurea della morale universale. Proprio quella che dà la misura all’autenticità della nostra stessa vita. Così vorremmo svegliarci domani e trovare Eluana libera di riprendersi la sua.

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