di Mario Braconi

Nell’ottobre del 2008 la British Humanist Association (Società Umanistica Britannica) ha lanciato una campagna finalizzata a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’opzione esistenziale atea. Almeno all’inizio, le ambizioni erano modeste: gli Umanisti si proponevano semplicemente di raggranellare 5.500 sterline, pari al costo di due set di messaggi pubblicitari da applicare sulle fiancate di 30 bus londinesi per due settimane. Nessuno avrebbe immaginato che la sottoscrizione si rivelasse un successo clamoroso: soprattutto tramite donazioni via internet di modesta entità, sono state raccolte, infatti, ben 140.000 sterline: segno che il tema, alla fine, è meno di nicchia di quanto si voglia far credere qui da noi, dopo il deludente epilogo dell’analoga campagna lanciata dalla UAAR (Unione Atei e Agnostici Razionalisti) a Genova. Risultato: BHA ha guadagnato 200 nuovi proseliti, gli autobus “agnostici” sono oggi 800 e percorrono non solo le strade di Londra, ma anche quelle di Manchester, Edimburgo, Glasgow, York, Cardiff, Devon, Leeds, Bristol e Aberdeen. Dal 12 gennaio fanno parte dell’offensiva laicista anche 1.000 pubblicità affisse nei vagoni della metropolitana londinese: esse contengono citazioni per niente condiscendenti nei confronti della fede (ad esempio la splendida citazione dello scrittore Douglas Adams, l’autore di “Guida galattica per gli autostoppisti”: “Non ti basta godere della bellezza di un giardino? Occorre per forza credere che sopra di esso si librino delle fatine?”).

Richard Dawkins, ateo fervente, Professore di Public Understanding of Science (comprensione della scienza) presso l’università di Oxford ed autore di ottime pubblicazioni - tra cui il “Gene Egoista” e “L’illusione di Dio” - ha dato subito il suo entusiastico contributo all’iniziativa, divenendone il prestigioso testimonial e versando per la causa una somma pari al budget iniziale, 5.500 sterline.

“There's probably no God. Now stop worrying and enjoy your life” (“Probabilmente Dio non esiste. E adesso smettila di preoccuparti; goditi la vita”): questo il claim della pubblicità promossa dalla BHA, prontamente clonato da un’analoga iniziativa in Catalogna (“Probablemente Dios no esiste, deja de preocuparte y disfruta la vida”). Ad idearlo, sia pure in una forma inizialmente meno sintetica, Ariane Sherine, 29 anni, giornalista di Guardian, Sunday Times e The Independent. Ariane sostiene di averlo sviluppato come reazione a iniziative simili, ma di segno opposto, promosse da inserzionisti regolari sui mezzi pubblici britannici - su tutti l’associazione Jesus Said (Gesù ha detto) che, dal giugno 2008, si diletta a terrorizzare i viaggiatori poveri in spirito con messaggi del tipo: “Chi rifiuta la Chiamata divina passerà l’eternità tra i tormenti dell’inferno”, rappresentato come “un lago di fuoco”.

Se lo slogan della BHA, in sé, può anche risultare controproducente, in quanto sembra veicolare l’idea che non sia pensabile un’etica in assenza di religione, alla luce del contesto di guerra psicologica appena descritto, acquista il segno vitale, fresco e gradevole di una provocazione intelligente contro l’estremismo di certi cristiani. Sarebbe però un errore pensare che l’iniziativa sia stata del tutto esente da intoppi: per dire, Ron Heather, autista di autobus in cerca di notorietà, ha fatto sapere ai media che si rifiuta di guidare gli autobus con le scritte “blasfeme”.

Ben 326 cittadini britannici indignati, poi, si sono rivolti all’ASA (Advertising Standard Regulatory), l’organismo inglese di autodisciplina della pubblicità, che il 21 gennaio si è pronunciata con questo piccolo capolavoro di logica ed understatement: “Abbiamo considerato con la dovuta attenzione i numerosi reclami contro la pubblicità ordinata dalla BHA, secondo cui essa violerebbe il codice di condotta pubblicitario, concludendo che: è vero che lo spot è fuorviante, dato che l’inserzionista non è in grado di provare in modo definitivo l’affermazione che Dio “probabilmente” non esiste; essa pertanto va intesa come opinione dell’inserzionista stesso.

Tuttavia, pur riconoscendo che il contenuto della pubblicità potrebbe entrare in conflitto con le credenze di diverse persone, è improbabile che esso possa fuorviare il lettore o causare una offesa grave o diffusa”. Punto. Chiuso. E così, finché ci saranno delle sterline nella cassa dalla campagna ateista, gli autobus con le loro brave scritte continueranno a girare: aiuteranno atei ed agnostici a sentirsi meno soli e discriminati e non smuoveranno le persone che hanno fede dalle loro convinzioni; anzi, forse finiranno per rafforzarle.

Esercizio: si consideri ora il putiferio scatenato in Italia dall’iniziativa-clone che l’UAAR ha tentato di mettere in piedi a Genova, città di Bagnasco, arcivescovo metropolita di Genova nonché capo della CEI. L’idea dei promotori era quella di fare un po’ di sana “propaganda per l’incredulità”, sfidando sul proprio territorio l’autore di innumerevoli dickat su matrimonio, procreazione, vita e morte, il sostenitore strenuo della tortura ai danni di Eluana e della sua famiglia, il brillante pensatore che ha accomunato gli (abortiti) DICO all’incesto e alla pedofilia. Lo slogan scelto dall’associazione era perfino più elegante di quello inglese: “La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno”.

Un’affermazione più tranchant come introduzione (sparisce il delicato avverbio “probabilmente”, presente nella versione inglese) e un pensiero di speranza a suggello: bella frase, delicata ed intelligente. Che però non va giù alla Chiesa e produce reazioni scomposte in tutti i soggetti coinvolti, che si scatenano in contorsionismi che strapazzano la logica senza nascondere un sostanziale atteggiamento pilatesco.

Trascuriamo per decenza le affermazioni dei politici, soprattutto di destra, ansiosi di accreditarsi presso la chiesa cattolica con agenzie sempre più scandalizzate – Galan, in modo questo sì blasfemo, arriva perfino ad arruolare De Andrè tra i credenti - ed atteniamoci ai dirigenti della agenzia pubblicitaria IGP Decaux, quella ha rifiutato di dare corso alla campagna (perdendo dei soldi!) pur di non irritare il bilioso porporato.

Ha cominciato Marco Fabiani, product manager: “Abbiamo appreso quale fosse il messaggio destinato allo spazio pubblicitario dei due autobus dell’Amt di Genova leggendo i giornali oggi (!); è sicuro, fin dal 13 gennaio, che la concessione di spazi pubblicitari agli atei “non è scontata” e che la decisione finale potrebbe addirittura spettare al numero uno dell’azienda, l’Amministratore Delegato Fabrizio Du Chene.

Il quale, dimostrando un’arroganza robusta quanto la malafede sostiene: “Ci sono due articoli del codice di autodisciplina che rendono impossibile la campagna: l´articolo 10 - la pubblicità non deve essere offensiva - e l´articolo 46 che stabilisce che le campagne sociali non devono ledere gli interessi di alcuno.” Arriva poi l’inevitabile excusatio non petita: “Non si tratta di seguire, o meno, le indicazioni della Chiesa: noi ci muoviamo autonomamente”.

Andando al merito della questione, l’art. 10 dell’IAP (Istituto per l’Autodisciplina Pubblicitaria) recita: “La comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose dei cittadini. Essa deve rispettare la dignità della persona umana in tutte le sue forme ed espressioni”. Ora, a parte il fatto che, se mai, la pubblicità dell’UAAR offenderà solo una parte dei cittadini, non è facile pensare a violazioni della dignità umana della persona umana che la pubblicità non abbia già messo in atto (ad esempio rappresentando sistematicamente glutei e seni femminili per promuovere merce).

Per quanto riguarda poi l’art. 46, un suo comma prevede che “i promotori di detti messaggi possono esprimere liberamente le proprie opinioni sul tema trattato, ma deve risultare chiaramente che trattasi di opinioni dei medesimi promotori e non di fatti accertati.” Il bozzetto del messaggio prevedeva la firma dell’associazione UAAR, quindi non vi sono dubbi sul fatto che esso rappresenti il pensiero dell’inserzionista: appare dunque penoso il tentativo di introdurre il concetto secondo cui, per fare pubblicità all’ateismo, occorrerebbero le prove scientifiche che Dio non esiste.

L’ipocrisia di queste interpretazioni di comodo è chiara: in questi giorni, mentre si tarpano le ali agli atei, i cosiddetti Cristiano Riformisti sono liberi di tappezzare Roma con un manifesto che recita: “Una buona notizia: Dio esiste. Anche gli atei lo sanno”. I soliti raccomandati, ne sanno sempre una in più di noi comuni mortali.

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