di Rosa Ana De Santis

Senza un nome e senza una storia, più intimoriti di prima e ancora più schiavi, alcuni di quegli africani cacciati e allocati nei centri di espulsione, stanno tornando a Rosarno. A lavorare sui nostri campi. Manodopera preziosa e quasi gratuita per i caporali italiani. A raccontarlo al Redattore Sociale è un giovane ragazzo ghanese, in Italia da due anni, anche lui, come tanti, sbarcato a Lampedusa dopo una fuga dal proprio paese per motivi umanitari.

La notizia di Rosarno è sparita, scivolata via in nevrotica fretta dalla tv e dalla stampa. Il Ministro dell’Interno ha suggellato i nobili sentimenti di casa nostra regalando l’asilo politico come gentile concessione del potere ai feriti degli scontri e tutto sembra tornato al proprio posto. Lo ha fatto in prima serata, per riparare in modo efficace le colpe e le responsabilità che gravavano sull’Italia dopo le cronache apparse sulla stampa straniera sui fatti di Rosarno. Ma, dietro la parata del perdono, lo scenario è lo stesso. I braccianti neri sono in viaggio verso la piana delle clementine. Molti di loro vengono da Castel Volturno, dove si sono rifugiati nella diaspora che li ha cancellati e dispersi dalla terra in cui lavoravano anche da dieci anni.

L’indigenza delle condizioni di vita li costringe ad accettare uno sfruttamento e una violenza ancora peggiore di quella che ha scatenato la rivolta. La cronaca ha omesso troppo spesso che molti di loro sono in possesso di regolare permesso di soggiorno. Anche i regolari che tanto piacciono a questo governo non riescono a trovare un alloggio dignitoso, né un’occupazione. Anche quelli che non sono clandestini cadono vittime della malavita. Le ‘ndrine li chiamano, li reclutano a sfregio dei documenti, sanno dove trovarli. E il governo invece? Non vede. Non vede i clandestini quando sono sfruttati, né i regolari, non li protegge, non vede nemmeno gli enormi capannoni che solo ora si accinge a smantellare.

Il testimone ghanese che ha raccontato l’invisibile ritorno degli africani a Rosarno ha chiesto aiuto ai centri di assistenza, alle associazioni, ai centri di raccolta. E’ finito a dormire alla stazione Termini di Roma, nella folla scomposta di disperati e clochard che disturbano la visuale degli italiani. La sorte non sarà molto diversa per i duemila braccianti agricoli stagionali, vitali per l’economia del sud Italia. Fantasmi nei centri di raccolta o per strada, oppure schiavi dei padroni italiani. Ma non era la clandestinità l’unica causa di questi abusi e di episodi fuori controllo come quello della rivolta?

Magari non ci fosse il ritorno a Rosarno. Magari le braccia degli schiavi si fermassero all’improvviso. Magari nessuna rivolta fornisse più argomenti alla parabola dell’irriconoscenza. Sarebbe difficile, allora trovare altri capri espiatori per la terra sterile affidata alle mafie, per gli italiani indisponibili a lavorare come gli stranieri sui nostri campi o nelle case dei nostri anziani. E chissà quanti permessi di soggiorno regalerebbe Berlusconi per il prossimo Natale. Magari insieme alle clementine.

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