di Rosa Ana De Santis

Per chi non lo ricordasse, la morte del diciottenne Federico Aldovrandi, avvenuta nel 2005,  ha i nomi e i cognomi dei quattro agenti di polizia condannati anche dalla Cassazione a 3 anni e 6 mesi di reclusione per reato di omicidio colposo per aver ammazzato di botte un ragazzo inerme. Le foto della salma distesa in obitorio, oggi dai poliziotti del Coisp denunciate come “fotomontaggi”, sono le protagoniste di questi giorni. Da quando Patrizia Moretti,  la madre di Federico, sotto le finestre del proprio ufficio viene sorpresa, il 27 marzo, da un sit in di solidarietà dei poliziotti del Coisp con gli agenti assassini.

Una provocazione che le viene gridata da una strada e che la fa piangere. E’ allora che la madre scende con la gigantografia di Federico in obitorio. Lei che vorrebbe non mostrarla più, silenziosa e fiera, ma distrutta. E’ allora che vanamente interviene il sindaco di Ferrara per convincere i manifestanti ad andare a casa o almeno altrove.

La madre di Federico raccoglie la solidarietà di tutte le Istituzioni che definiscono incivili le accuse mosse dai manifestanti, in primis il Presidente del Senato Aldo Grasso. Gelo e spaccatura con tutti gli altri sindacati, dalla CGIL all’UGL. Forse una manifestazione del genere non si sarebbe  mai dovuto autorizzarla, tantomeno nella libertà di poter andare sotto le finestre di una madre cui è stato ucciso un figlio.

Tutte le forze politiche prendono le distanze dal gruppetto di poliziotti difensori. Importanti segni di condanna dalla Boldrini, dall’ex capo della Polizia De Gennaro, dalla Cancellieri che con parole decise afferma che quel sit in e quelle persone non rappresentano la polizia italiana. Un discredito senza scampo. Una condanna tombale.

Fu la tenacia della madre di Federico e di tutti i familiari, delle perizie e contro perizie di Fabio Anselmo, legale della famiglia, delle foto in cui la salma del povero ragazzo mostra i segni e il sangue della violenza che lo colpì,  senza risparmiargli cranio e volto, a portare ad un raro caso di processo giusto ad uniformi che hanno ucciso.

La condanna definitiva, sempre per onore della cronaca e della scarsa memoria dilagante, aveva incassato anche le scuse formali e ufficiali dell’allora capo della polizia Manganelli.

I calci e i pugni avevano bloccato e soffocato il ragazzo, i poliziotti, per l’occasione improvvisati sceriffi, avrebbero alzato il gomito del manganello lasciando sull’asfalto una vittima. Un ragazzo come tanti altri figli che non ha avuto nemmeno il diritto di un gruppo di poliziotti degni di un Paese civile e nemmeno di un defibrillatore, ultima arma contro la furia cieca.

Patrizia Moretti annuncia querela contro chi l’ha offesa e ingiuriata con le accuse di aver ritoccato la foto e a quel drappello di difensori della strada risponde con l’unica verità che nessuno ha il pudore, il brivido o la paura di dire. Lei per prima vorrebbe ancora oggi, proprio adesso, che quella foto non fosse vera.

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