di Rosa Ana De Santis

E’ ancora buio, il 6 aprile del 2009 alle 3.32, quando una fortissima scossa di magnitudo momento 6,3 Mw smantella L’Aquila, numerosi altri centri della Regione Abruzzo e regioni limitrofe e scuote l’intero Paese. A morire nel cratere ci sono 308 vittime, di cui 55 studenti. Ancora oggi una passeggiata nelle strade de L’Aquila e del gioiello che fu il suo centro storico ha un sapore spettrale. Le new town, il G8 e la scenografia della ricostruzione rapida e indolore:  tutto è rimasto imbrigliato nel sipario del grande trucco televisivo.

Le famiglie e soprattutto i genitori che hanno perduto i loro figli, non solo quelli della Casa dello Studente divenuta ormai il riferimento simbolico della distruzione, chiedono di essere visibili e di dare un senso alla tragedia accaduta. L’Italia non è nuova all’ecatombe delle catastrofi naturali ed è un paese del tutto incapace di gestire e affrontare il rischio naturale che, soprattutto in un territorio come il nostro, non può essere mai ridotto allo zero.

A ribadire il concetto della mancata prevenzione a pochi giorni dal doloroso anniversario sono stati i geologi del Consiglio Nazionale, in una conferenza stampa di presentazione del premio  di laurea AVUS (Associazione Vittime Universitarie del Sisma), accanto ai genitori di 13 ragazzi rimasti uccisi nelle loro case. Le loro storie sono state raccolte nel libro “Macerie dentro e fuori”. Tra le pagine intessute di ricordi il giornalista che ne è autore, Umberto Braccili, ripercorre la necessità di trovare un senso. Ricordare è agire per chi come Sergio Bianchi ha perduto un giovane figlio e lo ha trovato con le sue mani dopo due giorni di scavi tra vivi e morti con una figlia distante appena pochi passi in attesa di rivedere il proprio fratello. Sono famiglie che raccontano il dramma dell’invisibilità che lo Stato gli ha riservato nel tempo.

E il processo solenne che ha visto condannare gli uomini della Commissione Grandi Rischi non sanerà tutte le ferite dei sopravvissuti se non si inizia con serietà e trasparenza ad agire sulla prevenzione. Perché se la scienza ha pagato un prezzo di colpevolezza, alla politica e a chi ha amministrato e gestito il territorio spetta ancora di pagare il suo. Se, oggi, questo il dato più amaro, dopo la cronaca del grande sisma la Regione Abruzzo si ritrova con meno geologi e figure esperte in materia di quante non ne avesse prima, allora più di qualcuno è autorizzato a pensare che non si sia imparato granché.

I geologi parlano di urgente piano di risanamento di un costruito che ancora non ha recepito l’adeguamento alle norme antisismiche al fine di rilasciare ad ogni edificio una sorta di carta di idoneità. E poi ancora di garanzie per la presenza di figure specializzate, di investimenti nel risanamento, di attuazione integrale e a tappeto del piano lanciato proprio dopo il sisma del 2009, di snellimento burocratico nelle procedure di intervento spesso rallentate da conflittualità tra enti a suon di scartoffie.

L’Italia non è solo ai terremoti che deve pensare. Vulcani, alluvioni e rischio idrogeologico raccontano di un territorio vulnerabile, spesso flagellato da speculazioni fuori controllo, da illegalità e anche da comportamenti individuali scorretti. Parlare però ai cittadini senza pretendere dalle Istituzioni delle linee guida urgenti e chiare significa solo elargire retorica della memoria. Le case di sabbia e cemento non avrebbero lasciato scampo nemmeno al ragazzo più istruito sui piani di evacuazione.

Il messaggio che arriva forte da questa prima giornata della memoria è quella dell’impegno e della denuncia: una missione in cui la scienza entra doverosamente nella politica. Per ricordare che a fronte di una natura che non può essere fermata c’è chi ha avallato sanatorie facili, costruzioni fuori dalle regole, case alle pendici dei vulcani o sui corsi dei torrenti, torri di sabbia in cui mettere a dormire dei ragazzi. Una mentalità del saccheggio irriverente contro cui la natura si scaglia senza distinzioni tra innocenti e colpevoli. Quella distinzione che i sopravvissuti de L’Aquila ci portano alla coscienza: con le lettere, i premi, le battaglie in tribunale. Perché questo in fondo significa non dimenticare.


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