di Tania Careddu

Diminuiscono ma aumenta il loro reddito: i pensionati, in Italia nel 2014, sono sedici milioni e poco più e la loro retribuzione media annua lorda è pari a circa diciassette mila euro. Aumentano gli ultrasessantaquattrenni, la cui elevata incidenza spiega il divario di istruzione rispetto al resto della popolazione: quasi la metà dei pensionati non ha un titolo di studio o possiede, al più, la licenza elementare, appena un quarto ha conseguito la licenza media superiore.

Se il pensionato possiede, invece, un titolo di studio corrispondente alla laurea, il suo reddito lordo è più che doppio rispetto a quelli sopracitati. Penalizzate come sempre le donne, che costituiscono quasi il 53 per cento della popolazione pensionata; sono più anziane - tre su dieci ultraottantenni - e ricevono mediamente importi di circa sei mila euro inferiori a quelli maschili.

Quasi la metà dei pensionati risiede nelle regioni del Nord, dove sono più frequenti le pensioni di vecchiaia, e poco meno di un terzo nel Mezzogiorno, in cui sono più elevate le quote dei percettori di trattamenti assistenziali o di invalidità ordinarie e dove l’importo netto mediamente percepito è del 15 per cento inferiore a quello del resto del Paese; ma a percepire i redditi pensionistici più alti sono gli anziani del Centro, mentre nelle Isole è forte l’incidenza delle pensioni sociali, cioè di quelle introdotte nel 1969 per garantire un reddito pensionistico minimo anche in assenza di pregresso contributo o di specifiche patologie.

E se al Settentrione i pensionati vivono per lo più da soli, nel Mezzogiorno sono in coppia e al Centro risiedono in famiglie di altra tipologia. Le quali, si stima, siano circa dodici milioni e quattrocentomila, più o meno una su due: per quasi sette milioni e ottocentomila di queste, le pensioni dei ‘nonni’ rappresentano oltre i tre quarti del reddito familiare a disposizione e per il 26,5 per cento è l’unica fonte di reddito.

Nonostante il valore medio del reddito delle famiglie con pensionati sia più basso di circa duemila euro rispetto a quello delle restanti famiglie, il rischio di povertà delle prime è ridotto rispetto a quello delle seconde. Perché la presenza di trasferimenti pensionistici rappresenta un’importante rete di protezione del disagio economico, tant’è che il contributo di un pensionato all’interno di nuclei famigliari vulnerabili, per esempio quelli di genitori soli, consente di dimezzare il rischio di povertà.

Se poi alla pensione si cumulano entrate provenienti da attività lavorativa, il rischio si riduce di oltre dieci punti percentuali e di sette punti percentuali qualora fosse presente il reddito di un altro componente della famiglia occupato. Le famiglie di pensionati del Sud e delle Isole vivono un rischio di povertà triplo di quello delle stesse famiglie del Nord e doppio di quelle del Centro.

Un rischio che mette in fuga i ‘capelli grigi’: secondo i dati INPS, che ha curato anche la ricerca “Le condizioni di vita dei pensionati”, negli ultimi cinque anni sono espatriati più di sedicimila e cinquecento pensionati, di cui cinquemila e trecento solo nel 2014. Da Tenerife a Lanzarote, dal Portogallo alla Bulgaria, luoghi in cui il costo della vita è il 40 per cento in meno di quello in Italia. In cerca di una vecchiaia più agiata, qualità dei servizi, sicurezza. E, perché no, di un clima migliore.

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