di Tania Careddu

Lentezza cronica e ingente mole di arretrato. È la situazione in cui versa, da decenni, il sistema di giustizia civile italiano. Molto carente sotto il profilo dei tempi di definizione dei procedimenti e poco accessibile sul piano dei costi. Con immaginabili ripercussioni sui principi costituzionali di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

Tanto per chiarire la portata della lungaggine dei processi, a Bologna, nel 2014, si è dovuto aspettare, mediamente, trentotto mesi per avere una sentenza, a Catania quarantaquattro, a Firenze trentanove, a Milano venticinque, a Napoli trentasette e a Taranto quarantaquattro.

L’efficienza dei tempi di definizione dei procedimenti va certamente correlata al numero dei magistrati in servizio: una scarsa copertura dell’organico che penalizza tutti i tribunali, i quali devono fare i conti anche con quella riguardante il personale amministrativo, coinvolto nello scarto tra i dipendenti previsti e quelli effettivamente in servizio.

E nonostante i giudici italiani abbiano dimostrato, nell’ultimo triennio, un’altissima capacità di smaltimento, il Belpaese vanta il triste primato in Europa, terza dopo Federazione Russa e Polonia, del maggior numero di affari civili pendenti in primo grado. Altri fattori che incidono sulla durata dei processi, secondo quanto si legge nel Report di CittadinanzAttiva Audit Civico nella Giustizia Civile, il tempo necessario al deposito di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) e lo scarso ricorso alla mediazione.

Quanto ai costi, l’annosa questione dell’insufficiente destinazione di adeguate risorse trova la sua evidenza nella (spinosa) tutela dei soggetti a rischio di emarginazione sociale: la difesa dei cittadini meno abbienti rivela tutta la precarietà di tenuta del sistema del patrocinio a spese dello Stato, essendo stato omesso un corrispondente stanziamento di risorse da dedicare alla retribuzione degli avvocati difensori per ‘gratuito patrocinio’.

A ciò si aggiungano le complicazioni burocratiche che accompagnano l’emissione dei decreti di liquidazione e una quasi totale mancanza di informazioni sia relativamente alle modalità di accesso sia per quanto attiene ai requisiti di ammissibilità al ‘gratuito patrocinio’ (nelle motivazioni di rigetto della domanda, quella dominante è legata ai requisiti di reddito).

Un tassello che, spesso, penalizza gli utenti stranieri. Ai quali, in generale, la giustizia italiana rivolge scarsissima attenzione. Vedi l’assenza di servizi di interpretariato per le informazioni (con materiale informativo, appunto, redatto solo in lingua italiana) e, dove presente, a disposizione solo per le udienze.

Ma il supporto per l’orientamento, l’accoglienza e l’ascolto dei cittadini nelle strutture giudiziarie fa acqua anche per gli utenti italiani: nei tribunali di tutta la Penisola, infatti, sono pochi i luoghi deputati (URP) a svolgere questa funzione. Per fortuna, il livello di accessibilità fisica per i fruitori dei luoghi di giustizia è, tutto sommato, positivo. Segnaletica a parte.

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