di Alessandro Iacuelli

Ghedi è vicino Brescia. E' una base particolare, perché completamente italiana, quindi non è una delle "solite basi NATO", di cui è cosparso il nostro Paese. Una volta, a dire il vero, era una base NATO, poi è stata declassata. Ora ci sono 1.600 soldati italiani, 200 civili e 180 militari USA di un battaglione che si occupa una sola cosa: di armamenti biologici e atomici. I due comandi sono divisi, ma tutta la struttura è comunque sotto comando italiano. Alcuni volontari dell'area del Brescia Social Forum hanno cominciato a lavorarci qualche anno fa, facendo pressione sul problema della sicurezza militare, ambientale e sanitaria. Ci sono state diverse ispezioni parlamentari senza esito, a Brescia però sanno che ci sono bunkers per 400-500 militari e il comando non spiega a cosa servono. Il sindaco di Ghedi ha chiesto più di una volta il piano di evacuazione della base in caso di incidente, piano che non viene fornito perché dal comando non ammettono (e non possono ammettere) che nella base c'è l'atomica. Per questo l'amministrazione comunale ha anche chiesto l'eliminazione del segreto militare. Naturalmente senza esito.
In particolare, il 7 marzo 2003 alcuni parlamentari hanno eseguito un'ispezione nella base militare di Ghedi e hanno posto alcune precise domande ai comandanti, su due di queste può essere opportuno soffermarsi: "Confermate il rapporto del parlamento statunitense che dichiara la presenza di ordigni nucleari nella base di Ghedi, vista la presenza di un particolare reggimento di soldati americani specializzati nel trattamento di armi atomiche?" E ancora: "E' possibile consultare il Trattato italo-americano per verificare che nella base militare non siano presenti soldati americani senza autorizzazione ufficiale?"

Ad entrambe le domande, l'aeronautica non ha fornito risposte: è rimasto in silenzio il comandante, col. Gianmarco Bellini, già noto alle cronache per essere stato abbattuto con il suo Tornado sui cieli dell'Iraq durante la prima guerra del Golfo.
E' stato lo stesso Bellini a spiegare che non si tratta di una base militare a scopo difensivo, ma unicamente una base di attacco. Ma non può rispondere circa la presenza di testate nucleari, poiché non è autorizzato a dirlo. Si appella ad un'autorizzazione ministeriale, che è stata negata. Infine, non bisogna dimenticare che è da Ghedi che sono partiti anche gli aerei che hanno bombardato il Kosovo nel '99. La base militare di Ghedi rappresenta ancora oggi un punto oscuro sulla effettiva sovranità italiana in materia di armi nucleari e proiettili all'uranio impoverito.


D'altra parte in quella zona della Lombardia il problema armi parte dalla presenza di un cospicuo numero di industrie che le producono. Anche se spesso si cerca di "nascondere" il fenomeno, è nel bresciano che c'è la massima concentrazione italiana di fabbriche di armi.
"C'è una fabbrica a Ghedi", racconta Walter Saresini del Brescia Social Forum durante il convegno Disarmo Nucleare, alternative di Difesa, risorse per la pace e la nonviolenza, "A Brescia c'è la Sei, già collaboratrice della più famosa Valsella che continua a produrre mine ma a Singapore, progetta bombe che produce in Sardegna. La Bernardelli ha 150 operai che producono ufficialmente armi da caccia, ma ha venduto progetti a una società turca tra i quali anche la costruzione di parti di mine antiuomo."
C'è anche un insediamendo della Vitrociset, a Brescia, azienda leader nel settore della manutenzione preventiva e correttiva, della riparazione e revisione dei sistemi d'arma elettonici. Con queste attività, Vitrociset mantiene in servizio sistemi complessi ad alta tecnologia ed in continua evoluzione, prima di tutto aerei, missili, radar e telecomunicazioni.
In queste fabbriche nessuno può entrare e i lavoratori mediamente prendono 300 euro in più rispetto agli altri. E' un problema quando si parla di riconversione e non si può abbassare la guardia circa i rischi lavorativi. L'anno scorso tre operai sono rimasti uccisi alla Sei per lo scoppio di materiale che stavano trasportando. Tutto il paese ha tremato per la deflagrazione e c'è stato perfino chi ha detto che sono impianti sicuri perché “le bombe non sono scoppiate tutte”. Sempre a Brescia, si tiene l'expo di armi e sistemi d'arma, ogni anno. La grande vetrina nazionale e non della produzione d'eccellenza di strumentazione da guerra. C’è poco da andarne fieri e ancor meno da stare sicuri.

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