di Tania Careddu

Non serviva che il governo ucraino desecretasse quarantanove documenti per capire che il più grande incidente nucleare della storia dell’uomo fosse stato tanto devastante. Se, a distanza di trent’anni esatti dall’esplosione della centrale di Chernobyl, gli effetti sono ancora evidenti. Anzi, conoscere le cause della deflagrazione che, stando ai suddetti documenti risalenti al periodo 1971-1981, sono riconducibili a errori di costruzione e a ventinove interruzioni dell’attività della centrale, di cui otto provocate da sbagli del personale e da violazioni delle norme di sicurezza, scatena la rabbia dell’impotenza.

Un dato appare certo: secondo quanto rivela il briefing di Greenpeace “L’eredità nucleare di Fukushima e Chernobyl”, a causa degli elevati livelli di contaminazione da plutonio nel raggio di dieci chilometri dalla centrale, l’area non potrà essere ripopolata per i prossimi diecimila anni. Più di centocinquantamila chilometri quadrati sono contaminati da radioisotopi a lunga vita e da radiazioni a basso livello nelle zone in cui vivono cinque milioni di persone e oltre diecimila chilometri quadrati sono inutilizzabili per le attività economiche, soprattutto agricole.

E si deve poi considerare che la contaminazione da cesio-137 è ancora presente in prodotti come funghi e frutti di bosco e supera i livelli ammissibili dalla legge nel latte e nella carne bovina.

Nonostante le difficoltà nel valutare stime affidabili, perché del milione e ottocentomila sopravvissuti al disastro è stato possibile verificare la dose di radiazioni assorbita solo in centotrentuno mila e quattrocentocinquanta di essi, e perché dal 2005 in poi nemmeno più l’impatto parziale, alcuni scienziati bielorussi hanno pubblicato le stime dei decessi per cancro in tutti i paesi inquinati da Chernobyl: Russia, Ucraina e Bielorussia. Il risultato è di centoquindici mila morti versus i novemila stimati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Ma sebbene risulti ormai quasi impossibile valutare complessivamente gli effetti a causa dei ridotti finanziamenti e della conseguente fine della raccolta e della pubblicazione dei dati, si può accertare l’aumento del tasso di mortalità tra i bambini figli di genitori irradiati, per malattie del sistema cardiovascolare e per tumore della tiroide. Ci sono poi i dati riguardanti i lavoratori impiegati nelle bonifiche (quarantaquattro mila), sui quali non è stata fatta alcuna rilevazione. Si para di incremento della leucemia e del cancro al seno, dei casi di cataratta e di invalidità e la diminuzione delle funzioni cognitive.

Aumentati anche i casi di suicidio, dovuti all’enorme sconvolgimento emotivo e sociale imputabile alla catastrofe che ha costretto migliaia di persone a scappare dalla proprie case per non tornare mai più. E a separarsi dai famigliari per non ritrovarsi più. Scarsamente (o per nulla) ricompensati, vivono in alloggi temporanei (?) in condizioni fatiscenti.

Una devastazione che non è mai stata riconosciuta con onestà dall’industria nucleare, dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) e dalle autorità governative. Quelle stesse che hanno desecretato i documenti top secret?

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