di Liliana Adamo

Neanche ventiquattro ore per sortire una doppia beffa: un mancato quorum attestatosi al 32% per un referendum nodale come quello sulle trivellazioni e conseguente versamento di greggio dall’oleodotto Iplom a Genova, che ha causato, ormai è certo, danni ambientali irreversibili.

Sul fallito quorum ci sono da stabilire delle priorità, che vanno chiarite subito, senz’alcun indugio: niente salverà il depauperamento delle fonti fossili, non si torna indietro, nessun percorso anacronistico è possibile.

Il governo Renzi dovrà onorare gli impegni sottoscritti nell’ambito della COP 21 a Parigi ed avviare una nuova stagione incentrata sulle fonti rinnovabili. E, se proprio vogliamo dirla tutta, come la mettiamo con le norme UE sulla libera concorrenza, regole cui contravveniamo, assegnando proroghe infinite sulle concessioni d’estrazione di petrolio e gas?

Né lo spettro del quorum (che di per sé è già una sciocchezza e un’incongruenza), né il blackout dei media o gli inviti all’astensione, ha impedito la partecipazione attiva di moltissimi cittadini, quelli che hanno preferito recarsi alle urne. Non solo: se l’obiettivo è senza successo, la logica delle cose si attesta comunque su un cambiamento energetico e dunque “culturale”, che mette al bando le fonti fossili, semplicemente perché (da tempo) c’è facoltà di scelta.

Una si chiama sviluppo sostenibile ed è conveniente, eco compatibile, democratica, serve a ricordare a governi, multinazionali e interessi di parte che adesso siamo in debito verso le generazioni future, tenuti a porre rimedio agli effetti del cambiamento climatico e tutelare quel poco di ambiente e biodiversità, patrimonio comune, che restano in piedi.

La propaganda palesemente contro, può andare a genio sulla defezione alle urne, alla disinformazione, a ritrattare l’oggettività di una questione enorme, ma il corso della storia è un altro e il governo Renzi è tenuto a prenderne atto. Questo, vuol dire cogliere tutte le opportunità per ridurre l’impiego di gas e petrolio, puntare su soluzioni realisticamente competitive, l’autoproduzione d’energie rinnovabili fuori dai regimi di monopolio, migliorare l’efficienza energetica del nostro paese.

Ciò che sta accadendo in mare, a Genova, sulle spiagge di Pegli e Multedo, sulla foce del torrente Polcevera e al Fegino, è un disastro ambientale, tenuto, ovviamente, sottotono; è il risultato di politiche miopi, allegoricamente, il prodotto di un quorum mancato.

A urne ancora aperte, nel deserto dei seggi (grazie a chi ha preferito la poltrona di casa invece di recarsi al voto), scoppiava un pezzo dell’oleodotto dell’Iplom, lungo il Polcevera. Il greggio si deposita sul letto del torrente, scivola inesorabilmente a mare.

Porta con sé la distruzione di un intero ecosistema, compromettendo irrimediabilmente una riserva di biodiversità; li abbiamo visti: cormorani, germani, aironi, oche selvatiche, imprigionati dall’olio nero, un’ingente moria di pesci. Il torrente schiuma, il greggio galleggia e penetra nei rii in secca per la siccità. Si cerca di minimizzare, ma poi si scopre che la quantità è ingente, 700 tonnellate, secondo l’Arpal.

D’ora in ora è ormai una fuoruscita senza controllo, arriva fino a Varazze, inquina 300 metri del lungomare sulla spiaggia di Pegli, ma i guai non arrivano mai da soli. Ieri ha ceduto la barriera di contenimento inquinante sul Polcevera, il petrolio viaggia a ritmi sostenuti, si teme possa giungere fino al santuario dei mammiferi marini del Mar Ligure, dove transita di tutto, balenotteri, capodogli, globicefali, grampi, stenelle, tursiopi.

La Procura ha posto sotto sequestro l’intero impianto, aperto un fascicolo contro “ignoti” per disastro ambientale; la compagnia risponde con la cassa integrazione e c’è la rabbia dei residenti: “Sono anni che ci avvelenano, siamo come in prigione…”. Ecco ciò che secondo il governo Renzi, porterà benessere e occupazione nel nostro paese.

Certo, arriveranno le polemiche e l’annoso passaggio di responsabilità di mano in mano. La Liguria, territorio fragile quanto flagellato da frane e alluvioni (per questioni meteorologiche, orografiche, certo, ma soprattutto per incuria e cementificazione, di chi mai ha tenuto in conto la particolare morfologia di questa splendida regione), riceve il colpo di grazia da un impianto di raffineria che soltanto oggi, con un disastro in corso, si scopre essere obsoleto, oggetto d’innumerevoli incidenti già dal 1979.

Altro pietoso velo è da stendere sul mirabolante Piano di Emergenza Esterno (PPE), che si scopre non aggiornato dal 2012 e quindi, per legge, ormai scaduto. Ulteriore “leggerezza” che spiegherebbe presumibilmente, il ritardo e l’inefficienza sugli interventi atti a bloccare la marea nera.

In base a questi fatti c’è qualcuno che ancora discuterà su referendum, quorum e trivelle? O sarà il caso, sul serio, di cominciare a darsi da fare?

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