di Tania Careddu

Sebbene la loro quantità, per uso agricolo, stia via via diminuendo, la presenza di pesticidi nei prodotti da agricoltura tradizionale resta ancora elevata. La frutta, soprattutto quella esotica, è il comparto dove si registrano le percentuali più alte di residui. Al punto che, nell’arco degli ultimi dieci anni, uva, fragole, pere e banane risultano le più contaminate e si registrano gravi irregolarità.

Queste sono da far risalire al superamento dei limiti massimi consentiti di residui, che si concentrano nelle foglie di the verde, nelle bacche cinesi, nel cumino, nell’uva sultanina, nelle ciliegie, nelle lattughe e nei pomodori.

Diventando dei veri e propri cocktail di sostanze attive nocive (fino a ventuno in un unico prodotto) creano preoccupanti combinazioni e, anche a basse dosi, gli effetti sinergici sulla salute dell’uomo e dell’ambiente sono avversi.

Variano in base alla durata, al tipo di sostanza e alla loro quantità ma, pure, a seconda del momento in cui avviene l’esposizione: gravidanza, allattamento, vita fetale, infanzia e pubertà sono momenti cruciali in cui il contatto con queste sostanze può comportare ripercussioni gravi.

Statisticamente positiva, l’associazione tra esposizione ad alcuni tipi di pesticidi e l’insorgenza di tumori al polmone, al colon, al pancreas, al retto, alla vescica, alla prostata, al cervello, melanomi e leucemie, tutti i tipi di linfomi oltreché delle disfunzioni immunitarie, si manifestano, in prevalenza, tardivamente, anche dopo decenni. Con effetti a lungo termine, anche, sull’attività neurotossica, sulla regolazione endocrina e sul funzionamento neurologico, aumentando il rischio di patologie neurodegenerative.

L’uso di questi composti, cresciuto in modo costante per rispondere alle necessità di incrementare la produzione agricola e, al tempo stesso, di elevare gli standard qualitativi, non ha tenuto nella giusta considerazione le conseguenze nefaste che un così ampio utilizzo della chimica (essendo le situazioni in campo diverse da quelle riprodotte in laboratorio) per la difesa dei raccolti dagli attacchi parassitari, avrebbe avuto sugli ecosistemi.

Uccidono insetti, piante, entrano nella catena trofica, compromettendo la sopravvivenza delle specie. Prima quella delle api: abilissime impollinatrici dalle quali dipende il 70 per cento delle piante commestibili abitualmente consumate dall’uomo, dal 2008 sono soggette a massicce morie, riconducibili, dopo lunghi studi e - secondo quanto si legge nel dossier "Stop pesticidi", redatto da Legambiente - alla concia dei semi di mais con neonicotinoidi.

Una strage che ammazza anche gli esseri umani, essendo le api straordinarie alleate, in grado di segnalare il livello di inquinamento e il grado di aggressività della chimica incontrollata. Basta saper controllare, invece, il loro raccolto di polline per decretare la sicurezza alimentare.

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