di Tania Careddu

Sul rischio fondano il loro business. Dagli incidenti ai disastri naturali, dalle epidemie alle crisi alimentari, i grandi gruppi assicurativi del vecchio Continente non solo investono per gestirlo e ridurlo, ma, in certe occasioni - ultima, l’incontro sul clima, la COP21, svoltosi a Parigi nel 2015 - oltre a sponsorizzare gli eventi, prendono impegni concreti in merito a grossi rischi, nello specifico quelli legati ai cambiamenti climatici.

Ma le parole sono distanti dai fatti e il passo avanti - ‘one step ahead’ - di cui si vanta la compagnia italiana Generali, terzo gruppo assicurativo in Europa, con una gestione diretta di circa trecentocinquanta miliardi di euro in asset investiti, parrebbe piuttosto un passo falso.

Per la spiccata dissonanza tra gli impegni di cui sopra, stando ai quali “Generali desidera avere un ruolo attivo nel dare supporto alla transizione verso un’economia e una società più sostenibili”, e i reali investimenti nell’estrazione, produzione e vendita di energia derivata dal carbone, uno dei maggiori inquinanti fra i combustibili fossili, principali responsabili dei cambiamenti climatici, sui quali, nel 2016, secondo quanto riporta il dossier “Passo falso” redatto da Re:Common, ha investito circa due miliardi e mezzo di euro.

E, sempre secondo il dossier, sarebbe coinvolta anche in diversi investimenti in espansione nel settore del carbone: per esempio nel progetto della società tedesca RWE, relativo a centrali a carbone con venti gigawatt di potenza, in cui Generali avrebbe investito almeno un milione e quattrocentoventimila dollari.

Ci sono poi le diversificazioni geografiche negli investimenti e quindi ecco almeno quarantadue milioni nel ramo cileno della francese Engie/ex GDF Suez, che controlla diverse centrali a carbone in Cile; più di cinquantuno milioni di dollari nei progetti della statunitense Southern Company e risultando financial advisor nella vendita di azioni della Duke Energy, coinvolta in cause milionarie per procurato disastro ambientale negli Stati Uniti, nel 2016.

Anno in cui, Generali ha acquistato oltre dodici milioni di dollari in bond della mandorlata Sinopec e investito almeno trentatré milioni di dollari nella PGE, principale società polacca, che produce l’85 per cento della propria energia dal carbone, motore dell’espansione di questo in Polonia, gestendo oltretutto il fondo pensione del governo polacco, che sul carbone fa camminare l’economia del Paese.

Strategie di investimento che sembrano tradire la sua missione fondamentale: proteggere dai rischi legati alle catastrofi naturali. Eppure andrebbero considerati gli impatti che gli investimenti in combustibili fossili hanno sull’accelerazione del surriscaldamento globale.

Ma la questione dei combustibili fossili è, per Generali, alquanto articolata: “Se da una parte, la produzione di carbone ha chiaramente impatti ambientali, dall’altra, l’energia prodotta con il carbone sostiene la produzione industriale, la produzione di energia elettrica e, in molti Paesi, soprattutto emergenti e a basso reddito, l’eliminazione di carbone avrebbe un impatto sociale elevato”, fa sapere in un nota pubblicata sulla edizione online del fatto quotidiano

La compagnia di Trieste precisa che, comunque, dal 2006 ha aderito “a linee guida per l’investimento responsabile” e che i dati del report “non trovano corretto riscontro nelle evidenze interne degli investimenti del Gruppo, essendo, nel complesso, la quota inferiore all’1 per cento del totale (e non il 10 per cento, come riporta il dossier) degli attivi a copertura degli impegni assicurativi”.

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