di Tania Careddu

Prima in Europa e seconda nel mondo, l’Italia, nel biennio 2014 – 2015, si conferma un paese con un’alta propensione all’accoglienza dei minori in condizioni di adottabilità. E se a partire dal 2004, vuoi per trasformazioni, influenzate da fattori politici, economici e sociali, interne ai paesi di provenienza dei minori, vuoi per il contesto economico di quelli d’accoglienza, su scala internazionale, si è verificata una progressiva diminuzione dei numeri dell’adozione, in Italia sono scesi solo del 35 per cento, passando da tremila e quattrocento a duemila e duecento circa (versus l’82 dei cugini spagnoli e l’80 di quelli d’oltralpe).

Negli ultimi due anni, secondo quanto si legge nel report “Dati e prospettive delle adozioni internazionali”, redatto dalla CAI (Presidenza del Consiglio dei ministri), il Belpaese ha adottato quattromila e quattrocentoventidue minori, provenienti principalmente dalla Federazione Russa, dalla Polonia e dalla Repubblica Popolare Cinese. Ma sono arrivati anche dalla Colombia, dal Vietnam, dalla Bulgaria, dal Brasile, dall’Etiopia, dall’India, dal Cile, dalla Repubblica Democratica del Congo, dalla Bielorussia, dal Perù e dall’Ucraina. Diminuiscono i bambini che provengono dall’America Latina e dall’Europa mentre crescono quelli che arrivano dall’Asia e dall’Africa.

Settecentosessantadue di questi hanno trovato la loro famiglia in Lombardia, regione italiana in assoluto più accogliente, quattrocentosessantanove in Toscana, trecentonovantasette nel Lazio, trecentonovantatre in Campania e trecentosettantotto nel Veneto. E Sardegna, Friuli Venezia Giulia, insieme a Campania e Toscana, hanno registrato il maggior incremento di minori autorizzati all’ingresso contro il decremento della Sicilia, del Lazio e della Liguria.

Nel biennio considerato, quattro minori su dieci hanno fra uno e quattro anni, soprattutto quelli di origine vietnamita, etiope e cinese, mentre il 44 per cento ha un’età compresa tra i cinque e i nove anni e quasi il 12 per cento ha più di dieci anni; solo il 2,9 per cento è sotto l’anno d’età. Circa il 25 per cento di loro arriva con bisogni speciali, soprattutto dall’Asia e fra quelli di età compresa tra i cinque e i nove anni, e dai paesi europei, dove, ai casi segnalati, i fascicoli (i cui dati, spesso, sono poco attendibili per diagnosi imprecise perché effettuate da personale di assistenza e non medico) attribuiscono un ritardo psicomotorio o psicologico, il più delle volte conseguenza di una precoce istituzionalizzazione in ambienti non idonei e con scarsi stimoli. Per malattie e bisogni attribuibili a carenze nutrizionali e a scarse condizioni igieniche soffrono i bambini che arrivano dal Centro e Sud America e dall’Africa.

Quanto ai genitori si consolida la tendenza a intraprendere il percorso adottivo - generalmente per l’impossibilità di procreare - in età elevata, mediamente intorno ai quarantacinque anni alla data di ingresso del minore, e fra coppie che nell’85 per cento delle situazioni hanno un alto livello di istruzione. Ma dati, numeri e statistiche a parte, quella che deve essere elevata è la capacità d’amare.

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