Negli ultimi quindici anni, le performances economiche italiane sono apparse piuttosto fiacche. La responsabilità risiede tutta nelle competenze: basso il livello, debole la domanda e poche quelle disponibili. E se il buongiorno si vede dal mattino, le modeste prestazioni sono visibili già tra i laureati, lavoratori di domani, che possiederanno un basso livello medio di competenze, a oggi già riscontrabile nel paragone con quelli di altri paesi europei.



Nonostante, di recente, gli studenti italiani abbiano fatti passi da gigante per allinearsi con i colleghi d’oltralpe circa le competenze di base, rimangono indietro sulla lettura e sulle scienze, oltretutto con un divario significativo fra Nord e Sud che, per dare l’idea, equivale a più di un anno scolastico.

Cosicché gli studenti della Provincia Autonoma di Bolzano occupano le posizioni di testa nelle classifiche internazionali mentre quelli della Campania si collocano allo stesso livello dei cileni o dei bulgari e, senza differenze campanilistiche, l’Italia ha, comunque, un numero esiguo di lavoratori laureati (il 20 per cento versus il 30 negli altri paesi Ocse, che ha redatto il documento Strategie per le competenze Italia).

E la scarsa offerta di competenze, in Italia, fa il paio con una flebile richiesta da parte delle imprese: modesti livelli di competenze dei management, combinati con bassi investimenti in tecnologie e che richiedono lavoratori esperti, generano poca produttività; nella maggior parte di questi contesti di lavoro poi, la progressione salariale è determinata dall’anzianità anziché dalla performance o dalla produttività, diventando un disincentivo a crescere utilizzando appieno le proprie competenze. E’ vero che circa il 6 per cento dei lavoratori ne possiede poche rispetto alle mansioni svolte ma è, anche, innegabile che quasi il 12 per cento le ha più alte, riflettendo la bassa domanda di competenze.

Tutto considerato e malgrado i recenti progressi, il tasso di occupazione si attesta fra i più bassi dell’area Ocse e l’Italia è al quartultimo posto per percentuale di donne occupate, spiegabile, secondo l’Ocse, nella scelta di specializzazioni universitarie poco richieste dal mercato del lavoro, e per l’inattività dei giovani attribuendone la causa a una lentezza eccessiva nel terminare il percorso di studi.

Troppo lenti ad acquisire competenze, fonte di benessere individuale e di successo economico nel ventunesimo secolo, senza le quali languiranno “ai margini della società”. Per fortuna, ci rincuora il documento, il governo italiano è sulla buona strada, con “una serie di riforme ambiziose nel mercato del lavoro, vedi il Jobs Act, nel sistema dell’istruzione con la Buona Scuola, e dell’innovazione con il Piano nazionale Scuola Digitale e il Piano nazionale per l’industria, va nella giusta direzione (…) per rompere l’attuale equilibrio di bassa produttività e basse competenze”.

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