“Chi ragiona concretamente è consapevole che la situazione è difficile e che sono necessari coraggio e lungimiranza, facendo perno sulla memoria del grande esodo (tra l’altro, da poco ripreso) che ha caratterizzato, in passato, l’Italia. Il percorso è difficile ma percorribile”, si legge nell’introduzione al “Dossier Statistico Immigrazione 2017”, curato dal Centro Studi e Ricerche Idos e dal Centro Studi Confronti.



Ed è alla luce dei dati, in sintesi, l’approccio con il quale rapportarsi al fenomeno migratorio per riuscire a trovare una coincidenza tra il sentire comune, il mondo reale e il piano delle decisioni politiche. Non solo sbarchi e luoghi comuni, dunque: in un contesto caratterizzato da squilibri economici e demografici, le migrazioni svolgono una funzione di riequilibrio e, in Italia, gli immigrati e i loro figli assumono una rilevanza sempre maggiore dal punto di vista demografico, economico, occupazionale e socio-culturale.

La tendenza all’insediamento stabile e strutturato dei cittadini stranieri – crescente aumento dei titolari di permessi Ue, nuove nascite da genitori stranieri e ricongiungimenti familiari – e l’aumento di coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana più per naturalizzazione che a seguito di matrimoni con cittadini italiani, sono la conferma di una convivenza che non si può più ignorare.

E, soprattutto, non si può sottovalutare la loro fruttuosa presenza: ad esempio, a fronte del bilancio 2016, l’INPS ha dimostrato che senza gli immigrati il Paese, nei prossimi ventidue anni, potrebbe risparmiare trentacinque miliardi di euro di prestazioni a loro destinate ma dovrebbe, altresì, rinunciare a settantatre miliardi di entrate contributive, con una perdita netta di trentotto miliardi di euro.

E non si può dimenticare nemmeno che paesi dediti al commercio, come l’Italia, trovano un supporto negli immigrati e nella vasta rete che attraverso di loro si instaura con i paesi d’origine per rafforzare la loro immagine nell’export, per promuovere la lingua e la cultura e attrarre i flussi turistici. E, senza nascondere l’umile collocazione del lavoro degli immigrati - un terzo lavora nell’ambito delle famiglie e un sesto in agricoltura - è doveroso rendere merito ai dati che indicano il loro apporto dinamico nel settore imprenditoriale.

La crescita delle imprese a gestione immigrata, che si distinguono per le capacità organizzative e tecnologiche, non si è mai arrestata neppure negli anni della crisi, connotando il mercato occupazionale italiano di un’internazionalizzazione consistente.

Di fronte alle innumerevoli risorse dell’immigrazione, si può certamente sostenere che gli italiani sono largamente condizionati da una falsa percezione, anche relativamente al discorso religioso riassumibile nella spiccata islamofobia, enfatizzata da fatti terroristici che richiamano all’Islam. A onor del vero, il Dossier, giunto alla ventisettesima edizione, dimostra che non si è davanti a “un’invasione islamica” a seguito dell’immigrazione.

Alla fine del 2016, infatti, al primo posto con un’incidenza del 53 per cento su 5.043.600 residenti stranieri, si collocano i cristiani, fra protestanti, cattolici e ortodossi; i musulmani sono poco meno di un terzo - dato utile a scongiurare l’ingiustificato timore di un’inondazione - seguiti da atei e agnostici. Far prevalere l’oggettività dei dati sulle percezioni serve a non avere paura.

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