Non si muore solo per le guerre o per l’esplosione di bombe ma anche di stenti. Di fame. Quello che nel nord del mondo sembra un problema ormai superato, nei paesi in via di sviluppo è una delle più grandi piaghe sociali. Di proporzioni talmente significative che 155 milioni di bambini nel mondo soffrono di malnutrizione cronica e 52 milioni sono affetti da malnutrizione acuta.

 

Dei 155 milioni, circa il 75 per cento vive in zone colpite da conflitti e crisi che riducono la disponibilità e l’accesso alle risorse, producono un aumento dei prezzi e limitano la possibilità di usufruire di beni e servizi di prima necessità, oltre a provocare effetti a lungo termine che incidono sulla trasmissione di forme di malnutrizione.

Ma non solo: in contesti già di per sé vulnerabili, la ridotta disponibilità di cibo è dovuta, anche, alla alterazioni del clima, con il conseguente aumento di fenomeni meteorologici estremi, compresi alluvioni e siccità, che peggiorano le condizioni igienico-sanitarie compromettendo la salute dei bambini, in termini di riduzione della capacità di assorbimento dei nutrienti a causa di malattie infettive. Per le alluvioni e la siccità, poi, la produzione agricola, anche solo finalizzata alla sussistenza della propria famiglia - fonte di sostentamento e occupazione, determinante per l’accesso ad altre risorse – diventa un’impresa faticosa.

Ma la malnutrizione non è solo legata allo scorretto apporto di elementi nutritivi ma anche a processi più ampi e omnicomprensivi che coinvolgono, mettendoli a rischio, un ambiente socio-politico sicuro e stabile, i sistemi alimentari sostenibili, la parità di genere, l’assistenza sanitaria e l’istruzione. Promuoverla, soprattutto per le donne, assicurare loro un’adeguata nutrizione in età riproduttiva, garantire le cure, finanziare sistemi di produzione sostenibili – aiutando i piccoli produttori così da rendere le famiglie autosufficienti dal punto di vista alimentare – possono essere, dunque, ottimi strumenti nel contrasto alla fame nel mondo.

Perché lo sfruttamento eccessivo di risorse da parte di pochi incide notevolmente sull’ambiente di molti, incrementando il rischio di catastrofi naturali e l’innescarsi di un circolo vizioso. Questa distribuzione ineguale fa il paio con lo spreco alimentare: quasi un miliardo e mezzo di tonnellate di cibi buttati via ogni anno potrebbero sfamare buona parte della popolazione.

Le stime suggeriscono che un minore affetto da malnutrizione acuta corre più di undici volte il rischio di morire di uno della stessa età in buona salute e i dati (certi), stando a quanto riportato nel dossier "Una fame da morire", redatto da Save the children, parlano di tre milioni di bambini morti nel 2015, prima di compiere il quinto anno di vita, essendo, la denutrizione, la concausa di circa la metà delle morti infantili a livello mondiale.

Più della metà, poi, dei casi di malnutrizione si registra in Asia, soprattutto in India, e un terzo in Africa, principalmente in Eritrea, con un gap profondo tra aree rurali e aree urbane, dove è in aumento il pericolo di malnutrizione. Combattere la fame è anche questione di equità.

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