“Viviamo in una società la cui cultura dominante è basata sull’appropriazione di quel che serve ad accumulare, dalla terra al patrimonio genetico, al tempo delle persone. In America Latina, dove le risorse naturali sono particolarmente ricche, molti chiamano l’ideologia che nutre questo sistema di relazioni sociali, estrattivismo”. Così lo definisce il giornalista uruguayano Raul Zibechi, nell’apertura del webdoc "Le nuove frontiere della società estrattivista", realizzato da Re:Common.

 

Storicamente considerato un’esclusiva del Sud del mondo, l’estrattivismo è diventato un modello che non risparmia nemmeno il Nord sviluppato perché “consiste nella sottrazione sistematica di ogni tipo di ricchezza dai territori, con il conseguente trasferimento di sovranità da chi quei territori li abita a chi li depreda”, si legge nel webdoc.

 

E, quando le grandi opere infrastrutturali, decantate come grossi progetti di sviluppo, causano danni permanenti e irreparabili sul territorio in cui vengono imposte, è estrattivismo a ogni latitudine. Quando si impone dall’alto non permettendo alle comunità del luogo di decidere sul futuro proprio e dei territori che abitano. E’ mancanza di democrazia perché, non solo non porta sviluppo, ma soprattutto incide negativamente sul sistema di relazioni sociali ed economiche.

 

Produce ricchezza, certo, ma che finisce nelle mani di pochi, tutelati dallo Stato anche fisicamente, posizionando militari a difesa del cosiddetto ‘sito di interesse strategico nazionale’ di turno sia esso una diga, un gasdotto, un porto o un treno ad alta velocità. Inganna intere comunità e paesi millantando un concetto malsano e deviato di sviluppo.

 

E’ il caso della Val di Susa o del TAP o gasdotto trans adriatico di tremila e cinquecento chilometri, promosso dalla Commissione europea come ‘progetto strategico’ per portare il gas proveniente dall’Azerbaigian. In realtà, di strategico ha ben poco: danneggia il territorio ben oltre la sua costruzione, perturba l’economia che nell’ambiente ha il suo punto di forza, serve interessi finanziari altrui, sostiene governi autoritari.

 

Ma, a essere fallimentare non è il singolo progetto, pensato e riuscito male, è proprio il modello, orientato, com’è, a rigenerare il sistema senza considerare le conseguenze che la sua applicazione avrà sull’intero pianeta. Per la presunta nobile causa del progresso economico, sacrifica luoghi che, per gli sfruttatori di risorse, contano ben poco e perciò possono essere distrutti, prosciugati o decapitati come le montagne.

 

Percepito dapprima come un fatto ambientale, poi come modello economico, oggi l’estrattivismo è un modello di società, in cui si “stabiliscono relazioni asimmetriche tra le imprese transnazionali, gli stati e le popolazioni”, si legge nel libro La nuova corsa all’ora di Zibechi. E come le grandi opere, ha un impatto disgregante sulle comunità.

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