Sembrerebbe una realtà lontana anni luce dall’evoluto contesto culturale italiano, eppure il fenomeno dei matrimoni precoci nel Belpaese ha un tasso percentuale pari al 77 per cento, superiore al record mondiale (detenuto dal Niger, del 76 per cento). Nel corso degli ultimi due anni, su una popolazione di circa tremila abitanti nelle baraccopoli situate nella città di Roma, i matrimoni contratti con un coniuge ancora minorenne sono stati settantuno.

 

 

Su un totale di centoquarantadue individui che si sono sposati fra il 2014 e il 2016, quasi il 50 per cento aveva meno di diciotto anni, nel 28 per cento dei casi i contraenti avevano fra i dodici e i quindici anni e il 49 per cento del campione, intervistato dall’Associazione 21 luglio che ha riportato i risultati nel dossier "Non ho l’età", l’ha voluto in prima persona.

 

Una scelta spiegabile come “una strategia funzionale al desiderio di vivere in modo legittimo i propri moti sentimentali e sessuali, in linea con i meccanismi di forte condizionamento esterno riscontrati”. Perché la dimensione collettiva ha una spiccatissima influenza sulle scelte individuali cosicché le opinioni del gruppo di appartenenza diventano vincolanti nel contesto corale della vita delle baraccopoli.

 

E siccome, qui, il matrimonio si configura come “il contesto legittimo in cui le donne dovrebbero vivere la prima esperienza sessuale”, la precocità dei matrimoni è determinata dal “valore intrinseco e sostanziale” attribuito, socialmente e individualmente, alla verginità. Immutabile tra le generazioni, il senso della verginità trova nel matrimonio precoce la strada di una “strategia genitoriale” di controllo sulla libertà sessuale delle figlie, restringendola a uno spazio sicuro e socialmente accettabile, motivo per il quale all’età della pubertà corrisponde l’abbandono scolastico, ambiente, questo, che sfugge al controllo della comunità.

 

Una delle conseguenze più significative del matrimonio precoce, l’abbandono scolastico ne è anche la causa, soprattutto nel caso delle baraccopoli romane, nella misura in cui il fallimento dell’esperienza scolastica contribuisce a orientare i giovani verso quella scelta prematura. Considerate le difficoltà di concentrare le proprie risorse in un percorso educativo e formativo, poco funzionale alle proprie possibilità, il matrimonio rappresenta “un’opportunità” che solleva i giovani provenienti dalle baraccopoli da un vissuto di profonda sofferenza e frustrazione.

 

Ma la realtà delle baraccopoli è caratterizzata da una forte assenza di stimoli esterni, offre pressoché nulle possibilità e perciò a determinare la reputazione (e la realizzazione) delle ragazze sono gli aspetti della vita privata – nuzialità, fecondità e verginità – piuttosto che quelli riferibili alla sfera pubblica.

 

Così, entrare sotto la giurisdizione di un uomo adulto può essere un’opportunità di migliorare le proprie condizioni di vita, garantendosi una qualche forma di mantenimento e, davanti all’incertezza socio-economica nonché istituzionale, rafforzare le reti sociali per perpetuare alcuni costumi della tradizione. Prima fra tutti, la restrizione della libertà di movimento.

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