Dal 1989, anno del decreto ministeriale sulle barriere architettoniche, preceduto, nel 1968, da quello sugli standard urbanistici, lo scenario socio-demografico dell’Italia è cambiato radicalmente, a causa della crescente longevità dei cittadini. Dal 2013, il Belpaese ha visto raddoppiare la sua popolazione anziana da meno di uno su dieci a più di uno su cinque, che devono fare i conti, oltretutto, con una spiccata urbanizzazione delle cui conseguenze - impatto sulle strutture del welfare, frantumazione delle reti di relazioni sociali e culturali in ambito locale e di vicinato e perdita d’identità dei luoghi - risentiranno a lungo termine.

 

 

Se la comunità territoriale e il quartiere, luoghi in cui vengono intessute le primarie reti di solidarietà, vanno in direzione di una disgregazione, il “primo soccorso e l’ultimo ricorso” per gli anziani rimane la casa. Non solo come contesto affettivo ma come base su cui si fonda la qualità della vita nella terza e quarta età.

 

Considerato che oltre un terzo degli incidenti domestici riguarda una persona di sessantacinque anni, va da sé che il patrimonio immobiliare degli anziani, nonostante le normative vigenti, non rispecchia modelli abitativi capaci di soddisfare le loro esigenze. Vecchio, con cucine e scale insidiose, senza ascensori - il 70 per cento ha più di cinquant’anni, nel 20 per cento dei casi è ancora più datato e nel 7 per cento non c’è il riscaldamento  - è pure inserito in quartieri poco funzionali all’età che avanza.

 

Nei quali, secondo quanto riporta il dossier “Standards urbanistici e edilizi per l’invecchiamento attivo” di Abitare e Anziani, scarseggia la sicurezza, mancano punti di informazioni e assistenza come i presidi sanitari o i servizi di primissima necessità, latita il commercio di prossimità, è assente l’illuminazione stradale e sono carenti l’agibilità dei marciapiedi e gli attraversamenti.

 

Barriere che minano la qualità della vita e la piena partecipazione alla socialità degli anziani ‘di mezzo’, ossia non più in grado di vivere da soli in sicurezza ma nemmeno ancora bisognosi del livello di protezione delle residenze sanitarie assistenziali, il cui abbattimento sarebbe da ricercarsi in un’idea dell’abitare come luogo privilegiato per soluzioni orientate all’invecchiamento attivo.

 

L’istituzione delle portinerie sociali, le badanti di condominio e i punti-risorsa di caseggiato possono essere la strada per rispondere tempestivamente alle loro esigenze garantendo una continuità e perseverandone l’identità.

 

Secondo lo Spi Cgil occorre “predisporsi alla costruzione di un progetto più generale incentrato sulla politica del benessere perché i cambiamenti sociali, demografici, economici e culturali ci spingono ad aggiornare l’analisi dei bisogni e delle speranze della gente, quindi delle regole che normano la nostra società”.

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