E’ un’immagine ben lontana da quella stereotipata del ‘profugo di guerra disperato’ su cui insiste gran parte dell’informazione, quella che restituiscono centotrentasette interviste a immigrati, beneficiari di accoglienza presso strutture della rete del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), condotte da Cittalia e SPRAR e raccolte nel documento "Sguardi e memorie di umanità in fuga".

 

Ne emerge un profilo socio-demografico parecchio eterogeneo relativamente sia alla provenienza geografica sia alle condizioni socio-economiche al momento dell’espatrio, distanti anni luce dalle etichette utilizzate nei paesi d’approdo per semplificarne la categorizzazione e la complicata conoscenza.

 

 

Ventisette le nazionalità presenti - Gambia, Nigeria, Afghanistan, Mali e Pakistan le più copiose - più uomini che donne e, il più delle volte, senza il nucleo famigliare. Che continua a vivere nel paese d’origine, nelle stesse condizioni di insicurezza politica, precarietà economica, guerre e violazioni dei diritti umani, cause della fuga dei loro congiunti, i quali, della separazione, ne fanno uno degli aspetti più dolorosi dell’esperienza di migrazione forzata.

 

Oltre al senso di profondo sradicamento e alla nostalgia per la quotidianità perduta, l’allontanamento porta con sé la preoccupazione per la condizione di vita dei cari lasciati in patria e l’obbligo morale di provvedere al loro sostentamento. Sebbene, al contrario di quanto tenda a pensare l’opinione pubblica, nella metà dei casi la rappresentazione della propria situazione economica prima della partenza è soddisfacente: cioè a dire che quella economica non può essere assunta come la spinta propulsiva alla migrazione. Tanto che dalle loro testimonianze si rileva che, prima di lasciare il paese natìo, il 64 per cento di loro era complessivamente soddisfatto del proprio tenore di vita, agevolato anche da una vasta rete amicale di sostegno che contribuisce a generare la percezione di uno stato di benessere.

 

Il quale, “in un certo momento”, è stato messo in crisi da eventi che hanno provocato una rottura insanabile nella quotidianità: intrecci inestricabili di eventi biografici, familiari e contestuali quali guerra, radicalismi religiosi, gravi contrasti familiari, sono alla base dei motivi di crisi e, quindi, di fuga. Verso una terra promessa, una zona franca di rifugio, anticamera di un futuro tutto da progettare: incredulità, gioia estrema, sollievo, le sensazioni provate da chi approda per la prima volta in Italia.

 

Il cui sistema di accoglienza, sebbene gestito secondo una logica emergenziale e funzionante sotto pressione, per la maggior parte dei migranti rappresenta un “salto di qualità” rispetto alle esperienze di accoglienza vissute precedentemente. Anche se costretti a lasciare casa e affetti repentinamente, la necessità di condividere il proprio spazio vitale con persone molto diverse implica, almeno nella fase iniziale, difficoltà di comunicazione, situazioni di conflitto, insofferenza e chiusura in se stessi che, però, tutto sommato, non ostacolano la ricerca di rapporti umani: mostrano, infatti, un buon livello di capacità di cimentarsi in relazioni esterne allo SPRAR, anche con persone italiane, rappresentandosela come un’opportunità di crescita personale, di avvenuta integrazione e di comprensione del contesto ospitante che, tenendo conto del vissuto migratorio, conferma le aspettative riposte in partenza.

 

Le ragioni di insoddisfazione sono, piuttosto, da ricercarsi nelle difficoltà di ottenimento della protezione internazionale e nei tempi lunghi di attesa dell’espletamento della procedura nonché nella frustrazione derivante dal non riuscire a trovare un lavoro adeguato che consenta, non solo di acquisire autonomia e di provvedere al mantenimento della famiglia lontana, ma anche di dimostrare una riuscita.

 

Sentirsi discriminati o ristretti nella libertà dai centri di accoglienza non sono sensazioni diffuse cosicché la stragrande maggioranza dei migranti dice di voler restare in Italia. Per il calore e la bellezza delle persone, del clima, delle risorse artistiche e naturali, per le opportunità lavorative che offre, per essere un paese senza conflitti che garantisce il rispetto dei diritti umani e l’esercizio delle libertà individuali. E dove si riesce ancora a immaginare una speranza di realizzazione della propria identità.

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