Esiste una diretta connessione tra le politiche pubbliche discriminatorie e segregative e le frasi di odio rivolte alle comunità rom e sinte. E viceversa. Cioè: laddove esistono insediamenti formali e informali, dove le politiche inclusive sono inesistenti e gli sgomberi forzati sempre più agiti, il livello di tolleranza si abbassa e si innalza la pressione sugli amministratori locali che, a loro volta, si sentono legittimati nel perseverare in approcci sicuritari, secondo i quali l’isolamento spaziale risulta la soluzione.

 

 

Di fatto, l’esito, per il 2017, secondo il Rapporto annuale 2017, redatto dall’Associazione 21 luglio, sono stati centoottantadue episodi di discorsi di odio nei confronti di rom e sinti, con un incremento del 4 per cento rispetto all’anno precedente. Lazio, Veneto ed Emilia Romagna, sono le regioni dove si sono registrati più frequentemente discorsi di odio e se un lieve calo è stato riscontrato, per esempio in Campania, ciò si deve all’utilizzo di una forma meno esplicita nel linguaggio utilizzato dagli attori del dibattito pubblico.

 

Affermazioni borderline dentro una strategia comunicativa intrisa di discorsi stereotipati che collocano, certamente, i produttori di tali discorsi al di fuori dell’ambito passibile di sanzione. Anche perché, sebbene vi sia traccia di parole (e fatti) esplicitamente discriminatori, gli atti segnalati risultano, spesso, di difficile interpretazione, adducendo motivazioni di scarsa incidenza e di elevato tasso di aleatorietà.

 

Ma come non considerare un crimine d’odio quello avvenuto a Guidonia in cui, durante una guerriglia urbana durata circa quattro ore e prodotta dalla caccia all’uomo, abitante nell’insediamento informale di via dell’Albuccione, che, secondo cento residenti autori della mobilitazione, era responsabile di guida scomposta, è stato dato alle fiamme il container dove il ragazzo rom era solito dormire?

 

E poi, rimangono casi altrettanto espliciti di incitamento alla discriminazione. E’ del maggio 2017, un commento, riportato nel Rapporto, del consigliere comunale di Ciampino, Ivano Boccali, che, in seguito a un rogo nell’insediamento de La Barbuta di Roma, posta su facebook: “Ancora roghi tossici. Roma sud e i Castelli romani ostaggi di questi selvaggi, primitivi, balordi: la politica buonista dell’integrazione ha fallito. Per quel campo nomadi l’unica soluzione è il NAPALM”.

 

E, sempre su facebook, l’assessore al bilancio del comune di Orvieto, in risposta alla segnalazione della presenza di due donne provenienti dal campo nomadi nella zona stazione, che sollecitava una soluzione, scrive: “C’aveva provato anche zio Adolf a prendere qualche rimedio, politicamente scorrettissimo, ma non gli è riuscito neanche a lui”.

 

Il consigliere comunale di Ladispoli, Giovanni Ardita, a un furto in appartamento, commenta con il seguente post: “Ste merde de rumeni ladri non si fermano ne davanti a casa di donne invalide sordomute e ne a casa di un ragazzo morto. Schifosi le autorità li devono prendere a calci fino al confine e spedirli al paese loro. Senza ritorno. Basta con sta monnezza de rumeni zingari”. Quale sarebbe il paese loro? E quale il confine (dell’ignoranza violenta)?

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