Inadeguato alla permanenza di qualsiasi essere umano (anche dei migranti, sì), l’hotspot di Lampedusa è stato chiuso. Temporaneamente, si badi. Il ministro dell’Interno ne ha disposto la chiusura, soprattutto, per attuare interventi sulla sicurezza della struttura. Cioè i lavori di ristrutturazione riguarderanno, principalmente, la messa in posa di opere di videosorveglianza e di recinzione, favorendo (quindi) le condizioni di sicurezza di chi sta fuori e tralasciando quelle di chi viene accolto. Anzi, proprio violandole.

 

 

Perquisizioni arbitrarie, violenze, uso della forza, insulti e minacce sono la risposta delle forze dell’ordine ai disperati tentativi degli ospiti di ribellarsi ai continui soprusi che subiscono. Uno su tutti, la negazione delle procedure alla presentazione della domanda d’asilo e di abbandonare (comprensibilmente) l’isola, lasciando non formalizzate entro i tempi previsti dalla normativa, le numerose istanze di protezione internazionale.

 

Cosicché, stante l’illegittima mancata formalizzazione della domanda di protezione e a causa della chiusura dell’hotspot di Lampedusa, per la stragrande maggioranza degli ospiti è stato disposto un decreto di respingimento differito e uno di trattenimento presso di Centri di Permanenza per i Rimpatri, con il conseguente rischio di rimpatrio, appunto.

 

Il passaggio al regime di trattenimento nei CPR di Torino, Brindisi e Potenza di circa cento persone è stato così, indistintamente, motivato: “il cittadino straniero costituisce un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, in quanto lo stesso, nella giornata dell’8 marzo, unitamente ad altri connazionali, inscenava una vibrata protesta all’interno dell’hotspot di Lampedusa, che culminava con l’incendio di alcuni locali posti al primo piano di un padiglione, poneva comportamenti diretti ad impedire il soccorso degli ospiti rimasti nelle stanze del piano terra del fabbricato, nonché bloccava insieme ad altri connazionali l’accesso all’interno dell’area interessata dall’incendio delle autopompe dei vigili del fuoco impedendone l’intervento per oltre 10 minuti, bloccando finanche l’evacuazione del personale civile in servizio nella struttura stessa, creando con il suo comportamento una turbativa concreta per l’ordine e la sicurezza pubblica all’interno del centro ”, si legge nel documento elaborato da Cild, Asgi e Indiewatch, dopo una visita all’hotspot dell’isola siciliana.

 

Una pericolosità sociale attribuita loro solo per il fatto di essere stranieri (in condizioni di estrema vulnerabilità) che se il tribunale di Torino ha respinto per l’inammissibile standardizzazione e per l’assoluta mancanza di prova sulla sussistenza di quel requisito, il prefetto di Potenza ha reagito ostacolando, secondo un non meglio precisato regolamento, il diritto di difesa degli ospiti trattenuti, impedendo l’accesso ai difensori e che partecipassero all’udienza di convalida.

 

Inoltre, con la chiusura del centro di Lampedusa e il successivo trasferimento dei migranti in strutture idonee (?), hanno perso ragion d’essere alcuni ricorsi d’urgenza presentati (e accolti) alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo dai legali delle associazioni che vertono tutti sulle condizioni disumane del centro e sulla promiscuità nonché sull’insicurezza dei soggetti più vulnerabili.

 

Esistono enormi problematiche di ordine generale: manca la mensa e il cibo, consumato all’aperto o nei cameroni, è di scarsissima qualità; i bagni sono senza porte e l’acqua corrente è interrotta per tutta la notte con conseguente accumulo dei liquami; i materassi sono sporchi e malmessi con lenzuola di carta cambiate saltuariamente; le stanze, con una capienza di trentasei persone, sono prive di separazioni tra uomini, donne e bambini.

 

Se quelli che gestiscono i centri sono uomini...

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