Le persone senza fissa dimora LGBT hanno bisogni e problemi specifici che, spesso, non trovano risposta nella rete dei servizi della grave emarginazione. Per esempio: le strutture di accoglienza, essendo concepite secondo una separazione per genere, non prevedono sistemazioni per transessuali; le persone senza fissa dimora manifestano, più o meno, velata ostilità all’omosessualità e gli operatori si dichiarano spiazzati.

 

 

Tutte espressioni di un unico problema: lo stigma culturalmente diffuso nei confronti dell’identità di genere o orientamento sessuale che, poi, è anche quello che porta, in percentuali allarmanti, le persone a diventare senza dimora. Perché, lo stigma, causa grande sofferenza, passività o aggressività. E così si rafforza il loro senso di esclusione, creando un ulteriore ostacolo nel percorso di uscita dalla marginalità. E si concretizza la loro invisibilità: secondo la ricerca Una strada diversa 2, condotta da Avvocato di strada, le persone LGBT dichiarate sono rare ma gli operatori pensano che ce ne siano molte di più, non dichiarate.

 

Sole, e in un contesto non volutamente refrattario, non sono in grado di modificare i meccanismi di invisibilità. Che, nel loro caso, può dipendere dal volersi nascondere - non solo per difendere il proprio diritto alla privacy ma anche perché hanno vissuti emotivi complessi da raccontare - o dal non essere percepiti. Sia per l’esistenza del sommerso che rende difficile la lettura, la comprensione e l’intervento sia per la difficoltà degli homeless LGBT di formulare richieste d’aiuto esplicite.

 

Quella stessa incapacità che li ha portati a una frattura con il nucleo famigliare: il rifiuto da parte delle famiglie genera, da una parte, il trauma dell’allontanamento e dall’altra, la mancata autosufficienza dal punto di vista materiale. E la rottura famigliare, spesso, impone anche un allontanamento fisico dall’intero contesto di riferimento non per la reazione particolare a caratteristiche personali dei singoli ma come effetto del contesto stigmatizzante verso le persone LGBT che rimuove costantemente la possibilità di esistenza della propria identità.

 

In altre situazioni, è anche la difficoltà a proporre al contesto sociale di riferimento un’immagine di sé diversa, inaspettata e spiazzante a rendere il vissuto più problematico. In più di un caso, infatti, emerge il bisogno di sentire riconosciuta e legittimata la propria identità, accettata da sé e dagli altri.

 

Hanno, perciò, bisogni ed esigenze specifiche che spaziano dalla riflessione sulla propria identità alla protezione, dal riconoscimento da parte di contesti (che si rivelano) amichevoli alla salute. E se la casa è il bisogno principale di tutti i senza dimora, per i senza tetto LGBT è il luogo che li proteggerebbe dalla insidie discriminatorie; l’ambito del lavoro, assente e necessario a tutti i senza fissa dimora, per le persone LGBT finite in strada è ulteriormente aggravato dallo stigma e il tema della salute fatica a emergere a causa dei tabù legati alla sessualità.

 

Le loro specificità, però, non solo sono un elemento significativo per il benessere di una categoria ma lo sono per tutto il sistema di accoglienza che deve fare i conti con le nuove povertà. E con le nuove cause scatenanti.

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