“Si può oggi parlare di una società dei ‘tre terzi’: un terzo super garantito da livelli di reddito di gran lunga più elevato di quelli sperimentati nel recente passato, non solo in assoluto ma anche se confrontati con la media e, soprattutto, con i redditi più bassi. Al contrario, sopravvive, a stento il terzo degli esclusi che, non solo non si è ridotto ma che ha visto anche svanire la propria speranza di riscatto e confermata la condanna all’esclusione.

 

Ma la novità degli ultimi anni è rappresentata dal terzo intermedio che si colloca fra gli altri due, avendo caratteristiche distinte dagli uni e dagli altri. Non gode di particolari privilegi e raccoglie tutti coloro che pensavano che la loro capacità di lavoro, la loro professionalità e il loro spirito di iniziativa e di intrapresa potessero essere sufficienti a mantenerli o a farli entrare nei due terzi dei fortunati di galbraithiana memoria. Fra di loro possiamo trovare gli elementi più attivi e più dinamici della società civile. Ma essi sono diventati tutti a rischio di povertà.

 

 

Pensiamo a un piccolo o anche medio imprenditore che, per difficoltà economiche, certamente momentanee, non trova credito presso il sistema bancario e cade nella rete degli usurai; pensiamo, ed è piuttosto frequente, a una famiglia di medio reddito che vede entrare in casa, attraverso uno dei suoi componenti, il problema della tossicodipendenza; pensiamo a una lunga malattia di un lavoratore autonomo”, spiega, in occasione della presentazione della ricerca Povertà, disuguaglianze e fragilità in Italia, il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara.

 

Cosicché l’identikit delle nuove povertà ha il volto della fragilità che, al di là di fattori riconducibili esclusivamente alla dimensione del reddito, ha uno stretto rapporto con il livello dei servizi erogati dal pubblico, con le differenti situazioni infrastrutturali e con il degrado dell’area della formazione e dell’educazione. Elementi correlati alla diffusione del sommerso, del precariato e dell’usura. Indicatore di sofferenza quest’ultimo e strategia di sopravvivenza il primo, la realtà italiana, stretta in questa morsa, è ancora molto complicata, oltre i brindisi di ottimismo per l’uscita dalla crisi.

 

Le dinamiche dell’economia sommersa in Italia hanno permesso a numerosi soggetti produttivi di riprendere fiato e sopravvivere nel corso del periodo di crisi, generando, dal 2007, almeno quattrocentosessanta miliardi l’anno. Secondo l’Eurispes, sfuggono ai calcoli ufficiali sei milioni di doppiolavoristi, seicentomila immigrati con regolare permesso di soggiorno che lavorano in nero, persone che godono di pensioni di invalidità, due milioni e trecentoventimila pensionati che producono lavoro sommerso e quasi il 19 per cento delle casalinghe che svolgerebbe attività non contrattualizzate.

 

Sebbene il numero delle denunce sia in calo, l’usura costituisce ancora un fenomeno molto diffuso: si è calcolato che, solo nel 2015, circa il 12 per cento degli abitanti del Belpaese si sia rivolto a soggetti privati per ottenere un prestito, non potendolo ottenere dal sistema bancario; che il 10 per cento delle 750.000 aziende agricole abbia fatto la stessa cosa delle famiglie italiane e che, fra le imprese commerciali, una su dieci si sia rivolta agli usurai. Risultato: il business dell’usura consiste in quasi ottantadue miliardi annui.

 

Ma i dati degli ultimi due anni farebbero ben pensare: per esempio, nel 2018 si registra un aumento del numero di chi ritiene che l’economia italiana sia nettamente migliorata - l’esito di gran lunga migliore da quattordici anni a questa parte - e anche i consumi danno indizi di ripresa. E però, a ben guardare, gli esclusi dal “banchetto del benessere” sono invece aumentati negli ultimi anni: i ceti medi, appunto, che hanno visto erodere la loro condizione (storicamente più accettabile).

 

Uno stato che il curatore della Ricerca, Alberto Baldazzi, ha così esplicato: “Una parziale spiegazione dell’aumento delle persone in difficoltà discende dalla considerazione dell’assorbimento nel ceto medio di quote non indifferenti di quella che, una volta, era la working class. Questa sottosezione del ceto medio non ha fatto in tempo a creare rilevanti riserve e valori patrimoniali e la sua condizione è legata principalmente alla stabilità del lavoro”. Che però non c’è. E ciò “introduce la macabra prospettiva di uno sviluppo senza equità”.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy