Diffusa in ogni paese e in ogni settore ma a lungo giustificata dagli economisti per le sue attitudini funzionaliste, la corruzione, ormai, è diventata uno degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per il 2030. Malgrado la consapevolezza, il fenomeno ha, ancora, una diffusione imponente: nel 2015, i costi stimati erano duemila miliardi di dollari per arrivare a duemila e seicento nel 2018, raggiungendo il 5 per cento del PIL mondiale.

 

Il rapporto 2018 del Transparency International Index, riportato nel dossier Corruzione: ecologia umana lacerata, redatto da Caritas Italiana per studiare l’impatto della corruzione sullo sviluppo (non) inclusivo in Guinea, descrive un trend stazionario, osservando che nei centottanta paesi esaminati, i due terzi hanno un punteggio dell’indice di corruzione percepita (ICP) sotto a cinquanta su cento e la situazione è rimasta invariata negli ultimi sette anni, sebbene quarantuno paesi abbiano registrato un miglioramento e fra questi almeno venticinque abbiano introdotto riforme per combatterla. Trentotto, però, hanno riportato un peggioramento, di cui ventotto hanno deteriorato le rispettive posizioni.

 

Se i risultati di Italia, Senegal, Argentina e Costa d’Avorio risultano incoraggianti, quelli ottenuti da Ungheria, Turchia, Bahrein, Liberia e Guinea Bissau sembrano allarmanti. All’apice della classifica, Danimarca e Nuova Zelanda; in fondo, Nord Corea, Yemen, Somalia, Siria e Sud Sudan: il continente più virtuoso rimane l’Europa occidentale e quello più vizioso, l’Africa Subsahariana. In pericolosa regressione, i paesi scandinavi, con la Finlandia e l’Islanda in cima e, fra i paesi più influenti sull’andamento dell’economia mondiale, Stati Uniti, Australia e Canada - notoriamente paesi modello - Spagna e Messico. I progressi, purtroppo, invece, non coinvolgono – eccezion fatta per Italia e Regno Unito – stati di fondamentale importanza negli equilibri del panorama mondiale.

 

PreoccupantE, anche, il gruppo dei BRICS con il Sud Africa in testa, seguito dal Brasile; in controtendenza solo l’India che ha guadagnato cinque punti, arrivando al settantottesimo posto, vicina alla media mondiale. Stando ai dati di Transparency International, una persona su quattro negli ultimi dodici mesi, ha dovuto pagare una qualche forma di corruzione, oltre il 50 per cento delle persone nel mondo afferma che i cittadini possono fare la differenza nella lotta al fenomeno e il 57 per cento di loro pensa che, viceversa, i governi non stiano facendo abbastanza.

 

Come dubitare se, nel 2018, le istituzioni più corrotte, dopo la polizia, sono i rappresentanti eletti, provocando, ciò, un impatto notevole sulla tenuta della democrazia: secondo i dati di Freedom House, riportati nel dossier della Caritas, dal 2018 al 2019, ben sessantotto paesi hanno registrato un abbassamento più o meno rilevante degli indicatori di diritti e libertà civili, ricalcando una tendenza stabilizzata. Il report di FH 2019 osserva che se tra il 1988 e il 2015, la percentuale di paesi classificati “non liberi” nel mondo era diminuita da 37 al 23 per cento e quella dei paesi “liberi” era cresciuta da 36 a 46 per cento, tutto ciò si è ribaltato tra il 2005 e il 2018, quando i primi sono tornati a essere il 26 per cento e i secondi il 44.

 

Comunque, anche per quanto concerne i paesi più virtuosi, il quadro è a luci e ombre con virtù in patria e vizi all’estero: i governi dei paesi ai primi sette posti dell’indice del Transparency International – Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia, Nuova Zelanda, Singapore e Svizzera – dove hanno sede colossi internazionali che operano in ambiti importanti dell’economia mondiale, sembrano tentennare nella lotta alla corruzione praticata nelle attività delle compagnie private, responsabili dei maggiori traffici clientelari.

 

Singapore, Finlandia e Danimarca sono nella categoria più bassa nella lotta alla corruzione all’estero; Svezia e Nuova Zelanda conducono una repressione moderata e solo Norvegia e Svizzera combattono attivamente - almeno sulla carta - con leggi e dispositivi anti-corruzione. Per non parlare della situazione dei quarantaquattro paesi dell’OECD: nel 2018, solo l’11 per cento di questi - che rappresentano il 30 per cento del’’export mondiale - persegue una moderata applicazione di leggi contro società che praticano corruzione all’estero per ottenere appalti negli ambiti più variegati.

 

Tanto per citare qualche caso, in Danimarca, più scandali hanno interessato la banca del paese, Danske Bank; in Svizzera, complice il segreto bancario, gli intermediari finanziari svolgono un ruolo significativo nel riciclaggio di denaro e nell’appropriazione di fondi in tutto il mondo; in Svezia, nel 2017, Telia ha acconsentito a pagare una sanzione di un miliardo di dollari per aver corrotto la figlia del presidente uzbeko con oltre trecentomilioni di dollari per la concessione fraudolenta di contratti di telecomunicazione; in Finlandia, la società di difesa di proprietà, anche, statale, Patria è stata coinvolta in scandali di corruzione in Slovenia e Croazia per eventi risalenti alla metà degli anni duemila.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy