Dall’agricoltura all’industria manifatturiera, dal lavoro nelle miniere e nelle cave a quello domestico (poco visibile ma pericoloso), stando ai dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, un bambino su dieci, nel mondo, è impegnato nel lavoro minorile. Sono centocinquantadue milioni i minorenni sottoposti a questa forma di sfruttamento e settantadue milioni quelli costretti a svolgere lavori durissimi. E se abitassero tutti in unico stato, costituirebbero il nono paese più popoloso al mondo, più grande del doppio rispetto all’Italia e più grande anche della Russia.

 

Fra il 2008 e il 2012, il lavoro minorile è diminuito solo dell’1 per cento e il dato di genere dimostra gli scarsi passi avanti compiuti sul fronte femminile rispetto a quello maschile. Per tutti, interferisce sull’istruzione e nuoce allo sviluppo fisico emotivo mentale e sociale del minore, anche perché settantatre milioni sono molto piccoli, avendo tra i cinque e gli undici anni.

 

Il fenomeno è interspaziale: dall’America Latina all’Africa Centrale e occidentale, dall’Africa sub sahariana dove il 30 per cento dei ragazzi è coinvolto in attività di sfruttamento contro il 29 per cento delle coetanee e dove la lotta al lavoro minorile non registrato nessun miglioramento, in Africa meridionale e orientale in cui si registra nel 27 per cento dei casi attribuibili ai maschi versus il 24 per cento di quelli che coinvolgono le femmine in Medio Oriente e in Nord Africa.

 

Una piaga che non risparmia nemmeno il Belpaese dove, solo negli ultimi due anni, sono stati accertati – sostiene Save the children – quattrocentottanta casi di illeciti riguardanti l’occupazione irregolare di bambini e adolescenti, sia italiani sia stranieri, di cui duecentodieci nei servizi di alloggio e ristorazione, settanta nel commercio, più di sessanta in attività manifatturiera e oltre quaranta in agricoltura. Un numero sottostimato a causa della mancanza di una rilevazione sistematica: basti pensare che l’ultima indagine sul lavoro minorile in Italia, diffusa da Save the children e Associazione Bruno Trentin risale al 2013, stimando oltre duecentosessantamila minori tra i sette e i quindici anni.

 

“Anche in Italia c’è ancora molto da fare per mettere fine allo sfruttamento lavorativo di cui sono vittime bambine e adolescenti, a partire dalla necessità di istituire una raccolta dati, sistematica e puntuale, che permetta di avere un quadro preciso del fenomeno. E’ fondamentale e urgente che le istituzioni rafforzino l’impegno per contrastare la povertà minorile e la dispersione scolastica, fenomeni entrambi strettamente collegati al lavoro minorile”, ha detto il direttore generale di Save the children, Valerio Neri.

 

I progressi più evidenti si registrano in Asia centrale e in Europa orientale, con l’Uzbeskistan che ha tagliato del 92 per cento il tasso di lavoro minorile e l’Albania del 79 per cento. Anche Cambogia e Vietnam, rispetto a venti anni fa, hanno ridotto il numero di minori coinvolti del 78 per cento il primo e del 67 per cento, il secondo; il Brasile lo ha ridotto dell’80 per cento, sebbene ancora si contino un milione di bambini fra i cinque e i quattordici anni costretti a lavorare; stessa riduzione in Messico, passando dal 24 al 5 per cento; in India, dodici stati hanno sviluppato un piano d’azione e otto hanno aumentato i loro programmi per prevenire questa pratica.

 

Insomma, nonostante gli sforzi compiuti, il mondo è ancora assai lontano dal raggiungimento dell’obiettivo di sradicare totalmente la piaga del lavoro minorile entro il 2025, stando al trend attuale, in quella data si conteranno ancora centoventuno milioni di minori vittime di sfruttamento.

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