di mazzetta

Per una volta si deve rendere pubblicamente grazie a Francesco Rutelli; se non fosse stato per la sua ignoranza del mondo della rete e per la sua smania di apparire, non ci si sarebbe mai resi conto di uno più insensati sprechi di risorse pubbliche della storia recente. Tutto ha origine al Ministero dell’Innovazione, retto durante il governo Berlusconi da Lucio Stanca, ex Ibm. Le risorse gestite dal ministero, pur modeste rispetto agli impegnativi compiti assunti dal governo (Internet era una delle famose “Tre -i-“ della propaganda berlusconiana) sono state evidente dissipate in progetti privi di logica, finanziati per importi cento è più volte superiori al necessario. La settimana scorsa Francesco Rutelli ha presentato il sito www.italia.it con parole entusiaste, ma ha provocato un terremoto. Il sito tecnicamente è pessimo, non rispetta le norme, è inservibile, modesto, lento, vulnerabile dai malintenzionati. Si potrebbe continuare a lungo, ma, prima di tutto, il sito nasce da una percezione distorta della rete e dei comportamenti di chi la utilizza. Secondo le intenzioni Italia.it dovrebbe diventare un portalone attraverso il quale i turisti saranno invogliati a scegliere il nostro paese. L’idea di costruire un portale del genere, con tanto di piattaforma per le prenotazioni, è malsana perchè esiste già una miriade di siti che offrono questo genere di servizi, ma anche perchè non si capisce come si potrebbero convincere –tutti - gli operatori turistici italiani a passare attraverso la piattaforma di prenotazione del portalone (che comunque non è stata ancora realizzata); diversamente il denaro pubblico andrebbe a sostegno di alcuni e non di tutti.

Non si capisce neanche come, fattivamente, il portale potrebbe intercettare l’eventuale turista che naviga in rete in cerca di informazioni sul nostro paese. Non si capisce, infine, quale sia il progetto complessivo che c’è dietro la costruzione del sito, visto che le idee scritte sulla documentazione disponibile sono poche, ma confuse. I difetti “tecnici” del sito hanno attirato le maggiori attenzioni, ma è lo stesso senso di un sito del genere che andrebbe stabilito con precisione, prima di lanciarsi in avventure simili.

Grazie alla incredibile presentazione al pubblico di Italia.it, anche questa fondata su una colossale ignoranza per la quale è meglio mettere in linea il sito e poi aggiustare quello che non va (convinzione peraltro condivisa dalla Presidenza del Consiglio che ha messo online www.lineadirettacolpremier.it versione non funzionante di un progetto europeo, che dovrebbe funzionare come l’analogo sito tedesco www.direktzurkanzlerin.de che è già in linea da mesi), Rutelli ha fatto una pessima figura, perchè presentare un sito che dovrebbe essere la “vetrina del nostro paese”, mentre è poco più di uno scherzo di cattivo gusto, è un controsenso che non può sfuggire. Ma difficilmente Rutelli pagherà i danni fatti al turismo italiano mettendo in linea un tale orrore. Dallo scandalo che ne è derivato in rete (il mondo e i giornali non-digitali non ne parlano), si è alzata la polvere sui soldi pubblici spesi per mettere in linea siti internet più o meno istituzionali

Una montagna di soldi pubblici. Infatti Italia.it costa a bilancio quarantacinque milioni di euro e ci sono voluti tre anni perchè apparisse in linea per essere sepolto di critiche. Si può capire che, se la nostra classe politica capisce di internet come ne capisce Rutelli, non sia molto difficile perdere il senso della dimensione degli investimenti; se pochi sanno quanto costa un litro di latte, ancora meno avranno un’idea spannometrica del costo di un sito o di una piattaforma web. Il sito europeo che corrisponde a Italia.it, www.visiteurope.com costa 1.8 milioni di euro (quasi trenta volta meno) e già è stato criticato in quanto troppo costoso rispetto a quanto realizzato e mancante delle traduzioni previste, tanto per fare scomodi paragoni.

Italia.it ha anche un sito gemello, in quanto scandalosamente costoso, che è www.interculturale.it sito che si propone di mettere in rete le risorse culturali italiane mettendole così disposizione di tutti. Progetto molto più sensato di quello di Italia.it, che sebbene sia ancora ai primi passi nella realizzazione, si lascia guardare come uno strumento realmente utile/utilizzabile. Peccato solo che metterlo in rete abbia comportato l’iscrizione a bilancio di trentasette milioni di euro. Non è un caso isolato, da un documento che descrive il progetto PICO ( acronimo di Piano nazionale per l’Innovazione, la Crescita e l’Occupazione) si scoprono i progetti per altri portali dagli usi più disparati (ad esempio connettere tra loro le aziende dello stesso settore al Sud), ciascuno del costo di una decina di milioni di euro. Tutto fa credere che ci possano essere ancora molti esempi del genere.

Il popolo della rete è rimasto basito all’apparire di Italia.it, ma in realtà tutti dovrebbero stupirsi (e indignarsi) una volta compreso come, attraverso i progetti di siti web, si siano messe a bilancio decine e decine di milioni di euro (il totale supera sicuramente il centinaio; duecento miliardi di una volta) per ottenere in cambio un controvalore reale non superiore a qualche migliaio di euro. C’è stata sicuramente la mano larga (solo per il logo di Italia.it sono volati 100.000 euro) ma, prima di tutto, alla base di decisioni del genere c’è la spaventosa ignoranza di cosa sia la rete, dei costi dell’informatica, dei modi corretti per accostare internet ed usarlo utilmente. Riflessioni che evidentemente non sono state fatte nelle sedi opportune, se nessuno ha obbiettato quando è stato deciso di spendere una quarantina di milioni di euro per fare un sito.

Quando si parla di milioni di euro, spesso molti faticano a captare l’esatta dimensione della spesa e certi politici hanno buon gioco anche a passare questo genere di spese come una nota di merito. “Il governo ha stanziato 100 milioni di euro per costruire siti internet che permetteranno al paese...” è una frase che sarà presa per una benemerenza da gran parte di chi l’ascolti oggi nel nostro paese, ma l’italiano medio afflitto dal digital-divide, farebbe un salto dalla sedia se sapesse invece che con quei cento milioni di euro il governo ha comprato due Panda, che le ha targate ed assicurate e messe in servizio come auto di rappresentanza. Ancora di più si stupirebbe se vedesse in televisione scendere da una di queste Panda (alle quali per ora mancano le ruote, le porte ed i vetri) portata a spalle dalla scorta, per recarsi al Consiglio dei Ministri. Questo è, sostanzialmente, quello che ha fatto Rutelli con Italia.it: si è trovato con una Panda senza ruote da 45 milioni di euro e non ha resistito alla tentazione di presentarla alla stampa, magnificandone le qualità e facendo bruuum con la bocca. Incredibilmente, i giornalisti presenti l’anno anche bevuta, visto che nessuno ha, nemmeno timidamente, eccepito sull’investimento.

Questi siti sono come le due Panda dell’esempio, non servono alla funzione per la quale sono stati pagati, costano a bilancio un multiplo impossibile del loro costo reale, ma sono considerati passi avanti nella informatizzazione del nostro paese; addirittura strumenti preziosi e non manca chi li magnifica e li “inaugura” in grande spolvero. Ad oggi, dopo una settimana di rivolta su internet, dopo che è stato dedicato un blog alla questione, dopo che agili volontari hanno rifatto (gratis e in un attimo) e messo online versioni alternative del sito (che diversamente da questo funzionano anche), non è ancora giunta una sola riga di commento da Francesco Rutelli, che forse spera di far dimenticare questa colossale figuraccia grazie alla contemporaneità della crisi di governo. Sarebbe invece il caso che facesse sentire la sua reazione alla valanga di critiche. Visto che Rutelli ha detto in sede di presentazione che il sito “é un prodotto tecnologicamente avanzato, all'avanguardia mondiale, ma è ancora un cantiere aperto da cui partire e siamo aperti ai suggerimenti", mi permetto tre personali suggerimenti: mettere immediatamente offline il portale fino a che non sarà completamente rifatto; chiedere scusa per averlo definito “un prodotto tecnologicamente avanzato”; allertare la magistratura contabile perchè compia una indagine estesa sui costi di tutti i portali internet finanziati con denaro pubblico.


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