Siria, il “rebranding” del terrore

di Mario Lombardo

Il governo americano e quello di Israele stanno cercando di accelerare il processo di normalizzazione dei rapporti con il regime di fatto siriano, guidato dal qaedista Ahmed al-Sharaa, nel quadro del riassetto strategico perseguito dai due alleati in Medio Oriente. L’amministrazione Trump ha sospeso lunedì in via formale quasi tutte le sanzioni che gravavano da oltre un decennio sulla Siria,...
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L’Iran e la deterrenza interconnessa

di redazione

La "dottrina" dei missili a lungo raggio della Repubblica Islamica non è solo una questione di accumulo di arsenali, ma rappresenta una trasformazione quarantennale che dall'improvvisazione dovuta a esigenze di sopravvivenza è approdata alla supremazia operativa di fronte al dominio aereo occidentale e israeliano. Sotto un cielo regionale a lungo dominato dalla superiorità aerea e d'intelligence statunitense e israeliana, decenni fa l'Iran ha preso una decisione fatidica. Non avrebbe cioè cercato di eguagliare i suoi avversari carro armato contro carro armato o aereo contro aereo, ma avrebbe invece costruito da zero un deterrente asimmetrico. Piuttosto che inseguire il miraggio della parità militare classica, Teheran ha sviluppato un...
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di Carlo Musilli

L'unica certezza è che i soldi stanno per finire. Secondo l'agenzia Reuters, la Grecia ha in cassa appena due miliardi di euro: Atene ha smentito la notizia, ma è indubbio che ormai la bancarotta sia alle porte, a meno che non si sblocchi la trattativa con Bruxelles per la nuova tranche di aiuti da 7,2 miliardi di euro. Fra maggio e giugno il Paese deve restituire 2,5 miliardi al Fmi, mentre fra luglio e agosto scadranno bond in mano alla Bce per altri 6,7 miliardi.

I debiti nei confronti dell'Eurotower, peraltro, dovrebbero richiedere un nuovo intervento internazionale, poiché quello attualmente in discussione riguarda una proroga degli aiuti soltanto fino a giugno. Nel frattempo, Atene deve continuare a pagare stipendi pubblici e pensioni.

Il momento della verità dovrebbe arrivare il 24 aprile, quando a Riga si terrà un Eurogruppo decisivo per le sorti della Grecia. I segnali positivi, fin qui, sono molto pochi: la cosiddetta "ex Troika" (Ue, Bce e Fmi) continua a giudicare insoddisfacente il pacchetto di riforme presentato dal governo greco per ottenere lo sblocco dei fondi concordati lo scorso febbraio. Da parte sua, l'Esecutivo targato Syriza non vuole tradire il programma con cui ha vinto le elezioni, fondato su tre pilastri: stop all'austerità, lotta alla crisi umanitaria e rilancio della crescita. 

Alexis Tsipras ha detto a Reuters che il suo governo sta cercando un modo per rispettare sia "il mandato popolare" sia "il quadro operativo dell'Eurozona". Ma il Premier greco ha anche precisato che, ad oggi, il disaccordo fra Atene e Bruxelles riguarda quattro capitoli: mercato del lavoro, sicurezza sociale, aumento dell’Iva e privatizzazioni. Non proprio dettagli secondari.

Intanto, il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis continua a invocare una ristrutturazione del debito pubblico, poiché solo una revisione delle scadenze consentirebbe al Paese di riattivare la crescita e di tornare a finanziarsi sul mercato, uscendo dal circolo (altrimenti infinito) della crisi e degli aiuti internazionali. D'altra parte, argomenta Varoufakis, l'incidenza del debito greco sul debito complessivo dell'Eurozona è assai limitata.

Il problema centrale della vicenda greca, tuttavia, non è di natura tecnica, ma politica. L'obiettivo numero uno di Bruxelles è evitare di creare un precedente. Se i greci ottenessero quello che chiedono, rianimerebbero probabilmente il proprio Paese, ma dimostrerebbero anche che il dissenso può avere successo e che la via tracciata da Bruxelles non è la sola percorribile. A quel punto, anche in altri Paesi gli elettori potrebbero mandare al governo formazioni contrarie alla politica economica dell'Eurogruppo (vedi Podemos in Spagna) e l'assetto del potere all'interno dell'Eurozona sarebbe messo in discussione.

Dal punto di vista tecnico, invece, la questione è diversa. Gli effetti dell'austerity sui conti pubblici e sulla vita dei cittadini sono documentati: fra il 2009 e il 2014 la Grecia ha visto il tasso di disoccupazione salire dal 16 a 25% e il debito impennarsi dal 125 a 175,5% del Pil, a sua volta crollato del 25%. Nello stesso periodo, le banche tedesche e francesi hanno ridotto la propria esposizione verso il Paese ellenico rispettivamente da 45 a 13,51 e da 78,82 a 1,81 miliardi di dollari, scaricando la zavorra sulle spalle dei contribuenti europei. La massima parte degli aiuti inviati ad Atene, infatti, è stata usata dalle banche elleniche per ripagare i propri debiti con gli istituti di credito internazionali che avevano speculato in Grecia prima della crisi.

In questo quadro, se nessuna delle due parti cederà, l'unica alternativa sarà il fallimento, che agli Stati europei costerebbe 194,7 miliardi di euro (di cui 41 solo all'Italia) e potrebbe portare con sé l'uscita della Grecia dalla moneta unica, anche se non è affatto detto che questa sia davvero una strada percorribile, se non altro perché nei trattati europei non è contemplata alcuna procedura per il ritorno alle monete nazionali.

In ogni caso, da mesi si ripete che ormai l'addio di Atene all'Eurozona non provocherebbe un effetto contagio mortifero, perché la congiuntura è migliore rispetto al 2010, la Bce sta inondando di liquidità i mercati con il Qe e i bilanci delle banche sono stati ripuliti. Ai mercati, però, la sola ipotesi del "Grexit" continua a non piacere, come dimostra il recente andamento di Borse e spread. Lo stesso Mario Draghi ha dovuto ammettere che "nel caso in cui la crisi dovesse precipitare entreremmo in acque inesplorate".

Se la Grecia uscisse dall'euro, in effetti, sarebbe smentito il dogma dell'irreversibilità della moneta unica: i mercati potrebbero tornare a speculare su chi sembra destinato a diventare la seconda vittima, mentre investitori e risparmiatori potrebbero scegliere di spostare il proprio denaro altrove per precauzione.

Ma non corriamo troppo, il Grexit è un'ipotesi per molti versi ancora nebulosa. La bancarotta, invece, è dietro l'angolo.

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