Siria, il “rebranding” del terrore

di Mario Lombardo

Il governo americano e quello di Israele stanno cercando di accelerare il processo di normalizzazione dei rapporti con il regime di fatto siriano, guidato dal qaedista Ahmed al-Sharaa, nel quadro del riassetto strategico perseguito dai due alleati in Medio Oriente. L’amministrazione Trump ha sospeso lunedì in via formale quasi tutte le sanzioni che gravavano da oltre un decennio sulla Siria,...
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Gaza, la fabbrica della morte

di Michele Paris

Tra voci di una possibile imminente tregua e l’intensificazione dell’offensiva militare israeliana nel nord della striscia di Gaza, sono emersi in questi giorni nuovi raccapriccianti dettagli sulle operazioni del regime di Netanyahu per “ripulire” questo territorio dalla popolazione palestinese con la complicità degli Stati Uniti e degli altri governi occidentali. Il tutto mentre Trump insiste nel fare pressioni sul sistema giudiziario israeliano per lasciar cadere le accuse di corruzione e altri reati simili nei confronti del premier/criminale di guerra, collegando assurdamente il processo ai danni di quest’ultimo agli aiuti militari garantiti da Washington a Tel Aviv. La misura della strage Un team di accademici di una...
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di Antonio Rei

Quando le cose girano bene è merito suo, mentre quello che va male è sempre colpa degli altri. Il doppiopesismo con cui Matteo Renzi è solito autocelebrarsi o autoassolversi a seconda delle circostanze ha trovato sfogo in modo eclatante la settimana scorsa, quando Istat e Banca d’Italia hanno fornito una rappresentazione apparentemente schizofrenica del Paese.

Giovedì l’Istituto di statistica, nella sua nota annuale sulla Povertà, ha dipinto un quadro drammatico della situazione sociale italiana. Il giorno successivo, la Banca centrale ha rivisto al rialzo le stime sul la crescita del Pil 2017, fissandola a +1,4%, contro il +0,9% stimato a gennaio. Nel bollettino trimestrale, Bankitalia prevede ora un aumento dell’1,3% del Pil nel 2018 e dell’1,2% l’anno successivo.

Renzi non ha perso tempo a intestarsi il merito della revisione al rialzo comunicata da Via Nazionale. “Se tutti i giornali oggi scrivono che i dati economici sono migliori delle (loro) previsioni è perché la strategia di crescita e di riforme che abbiamo fatto durante i #MilleGiorni sta dando i primi frutti”, ha scritto il segretario del Pd su Facebook.

Come sempre l’ex premier evita di scendere nei dettagli. Se lo facesse, scoprirebbe che alcuni comparti indicati dalla Banca d’Italia come motori fondamentali della crescita economica non hanno avuto alcun aiuto dalle sue riforme. Primo fra tutti l’export, settore in cui il nostro Paese è tradizionalmente forte e in cui le nostre imprese hanno dimostrato particolare resistenza anche in condizioni di avversità, prima durante la crisi e poi con il rafforzamento eccessivo dell’euro.

Ci sono poi i consumi. Cosa ha fatto il governo Renzi durante i #MilleGiorni per riattivare i consumi italiani? Ma gli 80 euro, naturalmente. A sostegno della vanagloria renziana, Bankitalia ha pubblicato una ricerca in cui afferma che il bonus da 80 euro “ha avuto un significativo impatto macroeconomico”, perché le famiglie beneficiarie “hanno aumentato la spesa mensile per alimentari e mezzi di trasporto di circa 20 euro e 30 euro, rispettivamente, consumando circa il 50-60% del bonus nel corso dello stesso anno”. Peccato che gli stessi autori dello studio ammettano che, “data l'insufficiente numerosità campionaria”, gli esiti della ricerca “non sono sempre statisticamente significativi”.

In un report precedente riferito al 2014, invece, ancora la Banca d’Italia aveva dimostrato che degli 80 euro ha beneficiato il ceto medio e non quello più povero. Per come era congegnato, il bonus è arrivato solo nel 21,9% delle famiglie italiane. Nel dettaglio, hanno incassato gli 80 euro il 43% delle famiglie in cui lavorano almeno quattro persone e meno del 15% di quelle monoreddito. Con tanti saluti all’equità sociale.

Del resto, che la redistribuzione del reddito non sia mai stata una preoccupazione del governo Renzi è dimostrato dagli ultimi dati Istat sulla povertà. Sul momento ci si è fermati a commentare i numeri generali: i 4.742.000 poveri “assoluti” e gli 8.465.000 poveri “relativi” registrati nel 2016 dall’Istituto di statistica, che definisce i due dati “stabili”, perché sono entrambi aumentati di “appena” 150mila unità rispetto al 2015.

Anche in questo caso, però, entrando nei dettagli si scopre una realtà diversa. Ad esempio che tra le “famiglie con tre o più figli minori” la povertà assoluta è cresciuta in un anno di quasi dieci punti, arrivando al 26,8% (prendendo in considerazione solo il Sud si arriva quasi al 60%). Oppure che le “famiglie miste”, cioè quelle in cui uno dei due coniugi è un migrante, la povertà assoluta è quasi raddoppiata nell’Italia settentrionale (dal 13,9 al 22,9%) e quella relativa è salita nel Meridione dal 40,3 al 58,8%. O ancora che 307 mila famiglie, pari all’1,2% del totale, detiene il 21% della ricchezza nazionale.

Questi dati si riferiscono al 2016, ossia al terzo anno di governo Renzi. Eppure il segretario Pd non solo evita di assumersi qualunque responsabilità, ma scarica anche il barile sulle spalle di chi lo ha preceduto. L’occasione gliela fornisce Mario Monti, che in un’intervista al Corriere della Sera ha parlato male delle progetto - lanciata da Renzi con il suo ultimo libro - di tenere il deficit al 2,9% per i prossimi 5 anni. “La cultura dell’austerity ha visto aumentare il numero di famiglie in povertà, un Pil negativo e crescere le diseguaglianze”, ha scritto ancora il segretario Dem. Purtroppo la soluzione che propone lui, la “cultura degli 80 euro”, non lega Pil e società. Il ritorno alla crescita non porta con sé un miglioramento delle condizioni sociali del paese, perché la ricchezza continua a essere redistribuita dal basso verso l’alto. Con tanti saluti all’attenzione per gli ultimi. E alla sinistra.

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