Il 9 maggio di ieri e di oggi

di Fabrizio Casari

Per celebrare l’80º anniversario della Grande Vittoria, ignorando le minacce di Kiev, sono arrivati al Cremlino presidenti, ministri e ambasciatori di 22 paesi, in rappresentanza di oltre il 60% della popolazione mondiale. Tanto la loro presenza quanto l’assenza di chi ha voltato le spalle alla storia hanno un preciso valore politico. Mosca ha mostrato una dimostrazione di forza militare e...
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Migranti, la dottrina Trump

di Mario Lombardo

Un giudice federale americano è dovuto intervenire nuovamente questa settimana per imporre all’amministrazione Trump il rispetto di un ordine che aveva già emesso nel mese di aprile al fine di fermare le deportazioni illegali di immigrati negli Stati Uniti verso paesi autoritari o in stato di guerra. L’ingiunzione è solo l’ultima in ordine di tempo delle numerose arrivate nei giorni scorsi. Svariati tribunali del paese hanno preso di mira quelli che appaiono a tutti gli effetti come rapimenti da parte delle forze di polizia, seguiti dal confinamento in veri e propri lager e dall’espulsione senza il minimo rispetto delle procedure legali e dei diritti costituzionali. Il giudice distrettuale Brian Murphy del tribunale di Boston ha...
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Il 14 luglio le armi iniziarono a crepitare nelle strade dei ghetti neri. Anche se non ci sono monumenti che lo testimoniano, nel 1967 la città di Newark era il simbolo stesso della segregazione razziale, una terra di nessuno dove la polizia s’imponeva con la forza sulla disperazione urbanizzata. La Guardia Nazionale penetrò anche all’interno delle case uccidendo persino le donne che accudivano i bambini, come Eloise Spelman, madre di 11 figli, colpita da un proiettile alla nuca.

Otto giorni dopo la fine della rivolta di Newark, la polizia fece una retata in un bar di Detroit arrestando ottanta persone. Fu l’inizio di una nuova insurrezione in una città che, pur essendo il motore industriale del paese, era dominata da continue tensioni razziali. Molti afro americani avevano lasciato le terre zone rurali nella speranza di fuggire dalla povertà, ma a Detroit avevano trovato solo disoccupazione ed emarginazione. Le maestranze preferivano non assumere neri e, quando proprio non potevano fare a meno, assegnavano loro le mansioni più umili e pericolose. La città cresceva finanziariamente, gli abitanti aumentavano ma la segregazione assumeva forme sempre più subdole e raffinate.

Con la “ristrutturazione” che prevedeva l’abbattimento di Black Bottom e Paradise Valley, molti afro americani furono costretti con la forza ad abbandonare le proprie case e a vivere un’esistenza sospesa tra rabbia e disperazione in alloggi di fortuna. Ma le nuove generazioni non tolleravano più di doversi inchinare ai valori dei bianchi e di rimanere intrappolati nella miseria. Frustrate dall’oppressione, furiose contro il sistema che le tagliava fuori dal benessere comune avevano iniziato ad organizzare la resistenza. E il fuoco che bruciava sotto la paglia alla fine dilagò…..

Fino al 1967, le rivolte nelle città americane erano sempre avvenute in zone circoscritte, ma quella che scoppiò a Detroit s’allargò a macchia d’olio fino a trasformarla in un teatro di guerra. Le cronache ufficiali parlarono di 43 morti, ma il figlio di Mark Roper, il medico che era di guardia al pronto soccorso nella notte tra il 23 ed il 24 luglio del 1967 ha raccontato di aver appreso dal padre che i corpi privi di vita erano almeno ottanta e altre persone morirono in seguito a causa dei colpi di arma da fuoco sparati dalla polizia. Uno di quei corpi era quanto restava di Tonya Blending, quattro anni, uccisa mentre stava rientrando a casa insieme al padre.

L’arrivo della Guardia Nazionale, il terzo giorno dopo l’inizio della rivolta, spinse la gente di colore a resistere con maggior determinazione e le strade di Detroit si trasformarono in un girone infernale dove anime dannate si agitavano nel buio del coprifuoco imposto dal governatore. Tra i rivoltosi e i militari si verificarono vari scontri a fuoco. Nel 1967 il presidente Johnson aveva appena creato un fondo destinato appositamente a creare squadre specializzate nel sedare i tumulti che prevedeva l’addestramento di settantamila uomini e i primi novemila furono inviati proprio a Detroit con l’ordine di “fermare i neri con ogni mezzo possibile”. In città arrivarono i carri armati che riuscirono a spegnere la rivolta ma, al tempo stesso, divennero il simbolo della doppia guerra combattuta dagli afro americani, costretti a partire per il Vietnam per via della leva obbligatoria in nome di una patria che attaccava le loro comunità.

Le insurrezioni di Newark e Detroit non riuscirono a sradicare del tutto il razzismo ma servirono ad eliminare se non altro i suoi aspetti peggiori. Anche il proletariato bianco aveva infine compreso che spezzare le catene razziali era indispensabile per aprire la strada alla giustizia. Il 4 aprile del 1968, giorno dell’assassinio di Martin Luther King, anche i quartieri operai dove vivevano i bianchi insorsero per protesta contro le divisioni razziali che, a 13 anni dalla sentenza della Corte Suprema che vietata la segregazione, costringeva ancora la gente di colore a scendere dal marciapiede incontrando un bianco o a cedergli il posto sull’autobus. Contemporaneamente, riprese vita anche l’antica lotta dei nativi d’America e proprio nel 1968 nacque infatti l’AIM, American Indian Movement.

Da allora sono passati 40 anni ed è triste constatare che l’imperialismo americano si annida ormai anche nei posti più impensabili, grazie anche alle nuove classi clientelari disposte a smantellare anche le leggi del proprio paese pur di compiacere gli interessi degli Stati Uniti. Attività che però comportano un grande rischio: quello di incentivare un popolo privato de jurede facto. Come accadde quaranta anni fa nelle vie e nelle piazze di Newark e Detroit.

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Il terrorismo contro Cuba
a cura di:
Fabrizio Casari
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Gaza, il piano dello sterminio

di Mario Lombardo

La risoluzione approvata lunedì dal gabinetto israeliano del primo ministro/criminale di guerra, Benjamin Netanyahu, ha tutto l’aspetto di una soluzione finale al “problema” palestinese nella striscia di Gaza. Occupazione militare permanente, espulsione o confinamento degli abitanti in campi di concentramento,...
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