Ue-Russia, contro legge e logica

di Fabrizio Casari

Truppe, armi e propaganda, ma non solo. I soldi, non mancano mai i soldi. Quando si volesse cercare un elemento simbolico per descrivere la crisi d’identità politica e di prospettiva dell’Unione Europea, ormai estensione statunitense, c'è la vicenda del sequestro dei beni russi a seguito del conflitto in Ucraina. La vicenda in sé, infatti, presenta una miscela di subordinazione ideologica,...
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Rafah e ONU, Israele al bivio

di Mario Lombardo

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato lunedì per la prima volta dall’inizio dell’aggressione israeliana una risoluzione che chiede l’immediato cessate il fuoco nella striscia di Gaza. Il provvedimento è passato con 14 voti a favore e la sola astensione degli Stati Uniti, che hanno rinunciato al potere di veto, provocando una durissima reazione da parte del regime israeliano. Per tutta risposta, Netanyahu ha annullato la visita a Washington di una delegazione che avrebbe dovuto discutere con la Casa Bianca la possibile operazione militare nella città di Rafah, al confine tra la striscia e l’Egitto. Questa iniziativa, dalle implicazioni potenzialmente devastanti, resta al centro dell’attenzione della...
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di Michele Paris

Come ampiamente previsto alla vigilia, le elezioni per il rinnovo del Parlamento irlandese hanno segnato venerdì scorso il tracollo dei due partiti di governo. A pesare sulle sorti del Fianna Fáil del premier Brian Cowen e sui Verdi è stata la rovinosa crisi economica che dal 2008 ha colpito il paese e le conseguenti misure di austerity adottate senza scrupolo per rimediare ad un enorme buco di bilancio.

Per il Fianna Fáil la sconfitta elettorale ha assunto i contorni di una vera e propria disfatta. Dei 78 seggi ottenuti quattro anni fa, sui 166 del Dáil (parlamento), il partito che ha governato l’Irlanda negli ultimi quattordici anni ne conserverà non più di 25, alla luce di un consenso tra gli elettori sceso al 17,4 per cento (dal 41,5 per cento). Si tratta della peggiore prestazione elettorale dal 1926, anno della sua fondazione.

A dare la misura della batosta per il partito guidato dal ministro degli Esteri, Micheál Martin, sono stati i risultati di Dublino, dove dei tredici seggi in palio che deteneva, il Fianna Fáil ne ha conservato appena uno, quello del ministro delle Finanze Brian Lenihan. Per il Green Party, poi, il voto del fine settimana ha comportato la sparizione dal panorama politico irlandese. Il misero 1,8 per cento conquistato significa che i Verdi non avranno nessun seggio nel prossimo parlamento.

A beneficiare dell’impopolarità del governo uscente è stato in primo luogo il Fine Gael, di centro-destra, che ha messo a segno la migliore prestazione elettorale della sua storia. Il partito del prossimo Taoiseach (primo ministro), Enda Kenny, ha raccolto poco più del 36 per cento dei consensi (27,3 per cento nel 2007) e porterà al parlamento di Dublino 76 rappresentanti.

La seconda forza nel paese è diventata il Partito Laburista, appena sotto il 20 per cento e con circa 36 seggi nel nuovo Dáil. Il principale raggruppamento di centro-sinistra entrerà a far parte di un governo di coalizione con il Fine Gael che in grandissima parte percorrerà la stessa politica di lacrime e sangue del gabinetto uscente.

Significativi passi avanti hanno fatto anche il Sinn Fein (10 per cento, 13 seggi) - con il proprio leader, Gerry Adams, eletto nella contea di Louth dopo che si era dimesso dal Parlamento di Londra e dall’assemblea di Belfast per correre nella repubblica d’Irlanda - e gli Indipendenti (12,6 per cento, 13 seggi). Nemmeno al tre per cento è giunta invece l’Alleanza Unita di Sinistra, formata dal Partito Socialista e da altre conformazioni minori come teorica alternativa di sinistra al Labour.

La punizione inflitta dagli elettori irlandesi ai partiti di governo riflette il profondo malessere diffuso nel paese per le misure draconiane imposte come condizione per accedere al maxi prestito da 85 miliardi di euro erogato l’anno scorso dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. A questo percorso obbligato - fatto di tagli alla spesa sociale e licenziamenti nel settore pubblico - non si sono viste alternative concrete nel corso della campagna elettorale appena terminata, così che il voto di protesta si è concentrato sui due principali partiti di opposizione.

Il premier in pectore, Enda Kenny, appena appreso del successo elettorale, ha spiegato ancora una volta come il suo governo intenderà muoversi nel prossimo futuro. “Voglio lanciare un messaggio a tutto il mondo”, ha affermato il ministro del Turismo e del Commercio tra il 1994 e il 1997 dopo aver conquistato il suo seggio nella contea di Mayo. “Questo paese ha chiaramente legittimato il mio partito a formare un governo forte e stabile, con un programma ben definito”. Dichiarazioni queste che lasciano intuire come l’obiettivo primario del nuovo esecutivo irlandese sarà quello di rassicurare i mercati, garantendo l’implementazione dei drastici tagli alla spesa pubblica adottati dal Fianna Fáil e ampiamente appoggiati anche dal Fine Gael.

Quest’ultimo partito, che non si differenzia sensibilmente dal punto di vista ideologico dalle posizioni del Fianna Fáil, ha basato la propria campagna elettorale sulla promessa di rinegoziare il prestito EU-IMF. L’impegno, tuttavia, prevede esclusivamente il tentativo di ottenere tassi di interesse più contenuti e la possibilità di ripagare il prestito in un periodo di tempo più lungo. Per il resto, il programma di governo include ulteriori tagli di bilancio, il licenziamento di 30 mila dipendenti pubblici nei prossimi quattro anni ed una nuova campagna di privatizzazioni per quelle poche aziende rimaste in mano pubblica.

Il bilancio di emergenza approvato poco prima del voto, e che prevede tagli per 4,5 miliardi di euro solo per l’anno in corso, aveva trovato d’altra parte il sostegno sia del Fine Gael che del Labour, così da immettere l’Irlanda sulla strada della riduzione del deficit al di sotto del tre per cento del PIL entro cinque anni. Per raggiungere tale obiettivo saranno chiesti nuovi pesanti sacrifici ai lavoratori e alla middle-class irlandese.

Una prospettiva che minaccia l’esplosione del conflitto sociale in un paese dove, ad esempio, la disoccupazione è salita dal 4,2 per cento del 2005 al 13,8 per cento attuale. Il ruolo dei Laburisti, legati a doppio filo con i sindacati ufficiali, diventerà perciò fondamentale per far digerire agli strati più penalizzati della popolazione le devastanti misure che già si annunciano a breve.

Lo scenario che attende l’Irlanda è dunque quello che già si sta profilando anche per altri paesi in Europa e altrove. Anche nella ormai ex Tigre Celtica a scatenare la crisi fu l’esplosione di una colossale bolla immobiliare speculativa nel 2008. La decisione del governo Cowen di salvare i profitti delle banche coinvolte aprì una voragine nei bilanci pubblici, per ripianare la quale si è messa in atto una drastica riduzione della spesa pubblica.

Anche con queste misure, in ogni caso, sono in pochi a scommettere sull’effettiva capacità dell’Irlanda di ripagare il proprio debito con le istituzioni che ora dettano, di fatto, la politica economica di Dublino (EU e IMF). Con la ripresa delle emigrazioni di massa e una popolazione sempre più impoverita, l’economia irlandese continua infatti a contrarsi. Per questo, anche se la coalizione Fine Gael-Labour ha conquistato una chiara affermazione elettorale, la strada verso la guarigione dell’Irlanda si presenta ancora tutta in salita.

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