Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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La memoria scomoda di Euskadi

di Massimo Angelilli

Il prossimo 21 aprile si svolgeranno le elezioni amministrative nei Paesi Baschi. Ovvero, il rinnovamento del Parlamento Autonomo, incluso il Lehendakari - Governatore che lo presidierà e i 75 deputati che lo integreranno. Il numero delle persone aventi diritto al voto è di circa 1.800.000, tra le province di Vizcaya Guipúzcoa e Álava. Il bacino elettorale più grande è quello biscaglino comprendente Bilbao, mentre la sede del Parlamento si trova a Vitoria-Gasteiz, capitale dell’Álava. Le elezioni regionali in Spagna, come d’altronde in qualsiasi altro paese, non sono mai una questione banale. Men che meno quelle in Euskadi. Si inseriscono in una stagione particolarmente densa di ricorso alle urne, iniziata con l’appuntamento...
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di Michele Paris

L’uccisione avvenuta martedì di Ahmed Wali Karzai, fratellastro del presidente afgano, rischia di complicare i piani delle forze di occupazione americane in vista del parziale ritiro delle truppe da poco deciso dal presidente Obama. Se le ragioni della morte di uno degli uomini più potenti di tutto l’Afghanistan rimangono tuttora oscure, chiarissime e minacciose appaiono invece le conseguenze della sua scomparsa, così come ben noti erano i suoi profondi legami con gli Stati Uniti, testimonianze entrambe del fallimento dell’avventura americana nel tormentato paese dell’Asia centrale.

Come ogni giorno, anche martedì scorso Ahmed Wali Karzai stava ricevendo i residenti della provincia di Kandahar - del cui consiglio provinciale è a capo - nella sua abitazione privata. Secondo le ricostruzioni della stampa, durante la mattinata uno degli uomini più fidati del suo servizio di sicurezza, Sardar Muhammad, avrebbe chiesto di parlare in privato con Ahmed Karzai. Dopo che i due si sono ritirati in una stanza, Muhammad ha sparato al politico afgano, colpendolo due volte alla testa. Sentiti gli spari, le altre guardie della sicurezza hanno fatto irruzione nella stanza, uccidendo l’attentatore. Il corpo di quest’ultimo è stato poi esposto pubblicamente nel centro di Kandahar, secondo un macabro rituale tipico del regime talebano.

Il 40enne assassino era uno dei comandanti delle guardie del corpo di Ahmed Karzai, per il quale lavorava da circa otto anni. Entrambi gli uomini appartenevano allo stesso clan, Populzai, di cui fa parte la famiglia Karzai. Muhammad godeva della stima del suo influente datore di lavoro, tanto da scortare frequentemente suo figlio per le strade di Kandahar e da ottenere un pezzo di terra in un elegante sobborgo della città afgana. L’omicida era a capo di una squadra di un centinaio di uomini e comandava il posto di polizia nel quartiere di Kandahar dove vivono i membri della famiglia Karzai.

L’uccisione di Ahmed Karzai è stata rivendicata dai Talebani, i quali hanno affermato di aver assoldato da tempo Sardar Muhammad. La responsabilità dei Talebani appare però tutt’altro che certa. Tanto per cominciare, le testimonianze di familiari e conoscenti rilasciate ai giornali americani sembrano escludere la possibilità che Muhammad fosse un agente talebano. Opinione diffusa è piuttosto quella che ci siano state divergenze con Ahmed Karzai negli ultimi tempi e il loro rapporto si fosse incrinato irreparabilmente.

Scorrendo il profilo e i precedenti del cosiddetto “Re di Kandahar”, tuttavia, si comprende come potessero essere in molti a desiderarne la morte. Trafficanti di droga, leader di clan rivali o addirittura personalità a lui vicine in competizione per il potere potrebbero essere dietro alla sua esecuzione.

Ahmed Karzai era a capo di un sistema di potere che andava ben al di là delle sue funzioni ufficiali al vertice della provincia di Kandahar. La sua influenza si estendeva praticamente in tutto l’Afghanistan meridionale. Oltre al prestigio e all’autorità derivanti dal rapporto di sangue con il presidente afgano, Hamid Karzai, il suo indiscusso potere dipendeva in gran parte dalla ricchezza accumulata con affari e operazioni tutt’altro che trasparenti.

Grazie al pressoché totale monopolio delle operazioni di sicurezza nel sud del paese, Ahmed Karzai si era accaparrato milioni di dollari provenienti dai lucrosi appalti concessi dalle forze NATO. Da tempo inoltre il fratellastro del presidente veniva collegato al traffico di droga nella regione di Kandahar, dove aveva costruito rapporti ambigui con gli insorti talebani.

Un cablo molto esplicito dell’ambasciata americana a Kabul del giugno 2009, reso noto da Wikileaks, descrive come “il Re di Kandahar controlla l’accesso alle risorse economiche, al sistema clientelare e di protezione”. Di fatto, prosegue il documento riservato, “gran parte della gestione di Kandahar avviene al di fuori del controllo pubblico, dove AWK (Ahmed Wali Karzai) opera, parallelamente alle strutture formali di governo, tramite una rete di alleanze che utilizza le istituzioni dello stato per proteggere e facilitare attività lecite e illecite”.

Un’altra accusa mossa contro Ahmed Karzai era quella di aver favorito la rielezione del fratellastro manipolando i risultati del voto per le presidenziali dell’estate del 2009. Ahmed Karzai comandava inoltre un reparto speciale clandestino (“Kandahar Strike Force”) che partecipava alle operazioni segrete condotte dalla CIA e dalle Forze Speciali americane. Proprio dell’agenzia d’intelligence di Langley Ahmed Karzai era sul libro paga fin dal 2001, almeno secondo quanto scrisse il New York Times due anni fa citando fonti governative degli Stati Uniti.

I legami con la CIA sembrano avergli permesso di sopravvivere e di accumulare potere per anni nonostante i suoi traffici e l’opposizione di certi ambienti militari americani. Le attività illegali di Ahmed Karzai, secondo molti comandanti statunitensi in Afghanistan, rischiavano infatti di alimentare l’odio popolare contro l’occupazione NATO e il governo fantoccio di Kabul.

Nell’aprile del 2009 il generale David McKiernan, allora a capo delle forze armate americane in Afghanistan, aveva perciò chiesto ai suoi subordinati di raccogliere ogni possibile prova che legasse Ahmed Karzai al traffico di oppio. Da molti ambienti USA vennero fatte pressioni, peraltro senza successo, sullo stesso presidente afgano per rimuovere il fratellastro, anche offrendogli un incarico diplomatico all’estero.

La rassegnazione dei militari americani a collaborare con Ahmed Karzai nel sud del paese è testimoniata da una rivelazione del Washington Post del giugno 2010. Nell’articolo viene descritto come nel marzo precedente il nuovo comandante delle forze di occupazione, generale Stanley McChrystal, dopo aver valutato alcuni rapporti sulle attività illegali di Ahmed Karzai, ordinò ai comandanti ai suoi ordini di astenersi da qualsiasi critica verso il potente uomo politico afgano e di avviare piuttosto una collaborazione attiva. Questo approccio sarebbe stato successivamente fatto proprio anche dal successore di McChrystal, il generale David Petraeus da poco nominato nuovo direttore della CIA.

Il cambiamento di rotta da parte americana nei confronti di una figura così discutibile è dimostrata anche da una serie di commenti apparsi sui media d’oltreoceano a partire da martedì e nei quali si sottolinea in continuazione come Ahmed Karzai avesse cambiato registro negli ultimi mesi, mostrandosi più collaborativo con i comandanti NATO e ben deciso ad occuparsi del bene della cruciale provincia di Kandahar.

Nonostante le perplessità, gli americani hanno preferito così conservare un alleato influente e una preziosa fonte di informazioni, chiudendo un occhio sugli affari poco puliti in cui Ahmed Karzai era coinvolto. In definitiva, come ha chiesto retoricamente un anonimo funzionario americano ad un giornalista del New York Times, per Washington “sono più importanti la sicurezza e la guerra contro i Talebani o il traffico di droga e la corruzione ?”.

Questo atteggiamento opportunistico, tutt’altro che insolito per la politica estera americana, è in un certo senso la testimonianza della sostanziale sconfitta della missione afgana dopo quasi dieci anni di combattimenti. I timori espressi da più parti per il vuoto di potere causato dalla morte di Ahmed Karzai e possibili nuovi attacchi talebani a Kandahar - dove, secondo i vertici NATO, erano stati fatti significativi progressi - sono infatti la prova della fragilità di un’occupazione fondata su politici locali impopolari e corrotti.

Una strategia quella americana che ha progressivamente abbandonato i propositi di conquistare le popolazioni locali con la promessa di instaurare la democrazia e un governo privo di elementi corrotti. Di fronte all’irriducibile opposizione di gran parte dei civili afgani si è scelta alla fine la strada di un impegno relativamente più limitato, basato principalmente su sanguinose operazioni militari contro i cosiddetti insorti, senza troppi scrupoli nel collaborare con personaggi controversi come Ahmed Wali Karzai.

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